Questa doveva essere un’epoca post-ideologica, forse la prima della Storia: razionale, pragmatica, trasparente, senza fumisterie.
Così ce l’avevano “venduta” alla caduta del comunismo. Perché – si diceva – era da lì che venivano, direttamente o indirettamente, i veleni dell’ideologia. Venivano dai dogmi del marxismo, della lotta di classe, dal socialismo – reale o irreale che fosse – che avevano condizionato e sconvolto il naturale affermarsi del progresso sociale. Così, ritornati ai “valori (i valori della libertà, dei diritti civili, della democrazia universale, dell’iniziativa privata, dello Stato ridotto a moneta e polizia) un’età dell’oro concreta e produttiva si sarebbe affermata, basata sulla rivoluzione tecnologica, sulla solidarietà umanitaria dell’Occidente verso gli altri Paesi, su un abbattimento dei confini…
Si vede bene come sta andando. Il mondo si frantuma. Emergono blocchi contrapposti, l’Impero si sta facendo via via più rabbioso e “dividente”, gli sciovinismi si ripresentano sempre più arroganti. E, soprattutto, le classi dirigenti occidentali, ben supportate dalla subalternità plaudente di gran parte del mainstream informativo, sono più ideologiche che mai, arbitrarie, indisponibili alla mediazione, dogmatiche e invasive.
Il caso greco ne è la dimostrazione, problemi che avrebbero potuto essere risolti con mediazioni politiche diventano questioni di principio, ambiti non trattabili per la paura che ogni cedimento, piccolo o grande, comporti l’inizio di una frana, il tracollo di ogni posizione acquisita, la scoperta generale che il Re, ancora una volta, è nudo.
Nulla lega l’Europa in questo momento – e l’intero Occidente – più che la rigida meschinità e la cecità egoista dei suoi leader.