Il problema della verità
Dunque, la prima definizione di verità citata nel post precedente (essa sarebbe “ciò che corrisponde alla realtà”) è inapplicabile alle narrazioni in quanto non esistono realtà a cui farle corrispondere.
Ma esiste una seconda definizione di verità: essa può essere anche ciò che è “conforme a delle regole logiche di pensiero”.
Questa sì che può costituire una buona bussola. Se riusciamo infatti a stabilire delle “regole logiche di pensiero” anche nel campo delle narrazioni, se riusciamo a identificare dei criteri possibili per validarle, forse potremo giungere non a una certezza sulla loro verità ma a dei criteri ragionevoli per qualificarle e dunque distinguerle qualitativamente. Riarticolando un sistema di misura del valore delle narrazioni non in base a un ipotetico rispetto di un preteso parametro di verità bensì in funzione dell’osservanza di regole logiche ( interne ed esterne ) eviteremmo il rischio, davvero pericoloso ma diffusissimo, di giudicare tutte le narrazioni del mondo come ugualmente false ( se siamo dei dietrologi ) o ugualmente vere ( se siamo dei creduloni…).
Insomma, se stabiliamo alcune regole logiche e, in funzione della corrispondenza a queste, validiamo una narrazione, una narrazione può essere vera anche senza corrispondere oggettivamente a una realtà.
Queste regole sembrano almeno tre.
1°) La legittimità del narratore. In altre parole, colui o coloro che narrano devo essere legittimati a farlo da un’oggettiva coerenza logica ( un esempio paradossale per capirci: un testimone che racconta lo svolgimento di un incidente stradale e, alla domanda del giudice “Lei era lì?”, risponde “No.” è legittimo?) Sulla legittimità del narratore si potrebbero scrivere volumi. Ma di certo se una narrazione non ha un narratore identificabile diventa subito sospetta di illegittimità: i “si dice che, pare che, in rete gira la notizia…” sono buone spie che lì dietro si nasconde un trucco.
2°) La coerenza di una narrazione. Se infatti essa presenta aree oscure, contraddizioni, buchi logici è inevitabile che la sua verità, per quanto relativa, venga messa in discussione. Non da tutti, forse, perché esiste sempre qualcuno che – per convenienza, stupidità, per bombardamento mediatico o per mancanza di narrazioni alternative – è portato a credere perfino a una narrazione fortemente incoerente. Ma che qualcuno, pochi o tanti, mettano in discussione una narrazione incoerente o che ne pretendano una sua “coerentizzazione” (!) è perfettamento comprensibile (anzi, è auspicabile).
3°) L’onestà di una narrazione. Per onestà si intende la sua completezza, la non dissimulazione di elementi che la metterebbero in discussione, il rispetto delle deontologie professionali a cui deve sottostare. E’ accettabile, per esempio, che uno storico abbia una visione molto partigiana di un episodio del passato ma non che nasconda o addirittura distrugga documenti che contrastano la sua ricostruzione.
In conclusione, non si può accusare una narrazione di falsità se essa risulta legittima, coerente e onesta. Piuttosto, le si possono contrapporre altre narrazioni, forse migliori, più utili, più convincenti, più complete, più aderenti al loro oggetto: ma tutto ciò verrà deciso soltanto da chi potrà paragonare tra di loro le varie narrazioni alternative (ecco il valore della dialettica narrativa).
Ovviamente, l’idea di rinunciare a una verità vera, unica e assoluta, risulta quasi fastidiosa: sarebbe bello avere sempre una cartina di tornasole ( quale che sia, una legge, un principio, una persona ecc. ) per poter decidere senza alcun dubbio ciò che è vero e ciò che è falso. Ma nella vita è meglio non farsi troppe illusioni…