Design e narrazione
Una mia comunicazione chiestami anni fa dall’Università di Aveiro e forse ancora interessante
Mitologie classiche e saghe nordiche. Parabole bibliche e paesaggi danteschi. Grandi cicli pittorici e visioni escatologiche. Tragedie shakespeariane e romanzi di Stendhal.
Queste sono tutte narrazioni, come ben sappiamo.
Ma sono narrazioni anche le analisi sociologiche e le cronache giornalistiche, le ricostruzioni storiografiche e le promesse della politica, i sogni del cinema e i paradisi del marketing. E poi le requisitorie nei processi, i format televisivi, le teorie scientifiche…
Le prime sono soprattutto narrazioni “di invenzione”.
Le seconde soprattutto narrazioni “di realtà”.
Le prime creano mondi virtuali, di immaginazione o di fantasia, e servono per sognare alternative possibili o impossibili all’esistente, per immaginare nuove strade, per progettare mondi futuri, per raccontare dimensioni altrimenti invisibili.
Le seconde creano invece cornici nuove alla nostra visione della realtà e servono a modificare i nostri punti di vista su ciò che ci circonda, a cambiare il nostro rapporto col mondo, a trasformare le scale di valori, i modelli di comportamento, le forme della relazione sociale…
Insomma, narrare non è soltanto inventare mondi immaginari ma anche descrivere, interpretare e trasmettere mondi reali. Narrare significa mettere in comune rappresentazioni virtuali e materiali, fantastiche e concrete, infinitamente piccole e immensamente grandi. Grazie alle narrazioni noi, esseri umani, edifichiamo le nostre strutture identitarie personali e collettive. E lo facciamo ricostruendo i mondi del passato che ci hanno originato, analizzando i mondi del presente in cui dobbiamo vivere, progettando i mondi del futuro che vogliamo realizzare.
Attraverso le narrazioni noi ci rapportiamo con l’esistente per trasformarlo.
Anche la cultura del progetto è narrazione.
Narrazione di realtà perché bisogna capire da cosa si parte. E al contempo narrazione di invenzione perché bisogna saper vedere dove si arriverà.
La cultura del progetto è lì nel mezzo tra ciò che già è – ma devo saper vedere in una prospettiva diversa – e ciò che può essere – ma che devo riuscire a immaginare e a comunicare agli altri.
E se nella cultura del progetto facciamo rientrare il design, l’architettura, l’urbanistica, moda ecc., dunque fare design, architettura, urbanistica, moda significa costruire narrazioni.
Ma quali sono le regole basilari del narrare, di questo continuo processo umano che produce rappresentazioni e le comunica?
Per stabilirlo bisogna far tesoro della storia profonda e millenaria della narrazione, abbattendo tutti quei recinti disciplinari che oggi sembrano segmentarla in tanti orti differenti, privi di regole comuni, corporativi e autoreferenziali. Bisogna, in qualche modo, scavare nel tempo e andare alle sua fondamenta. Non è un paradosso affermare che il costruire letterariamente una mitica guerra di Troia segue le stesse regole dell’edificazione di un grande magazzino IKEA, che la realizzazione di un film condivide fasi essenziali dell’allestimento di un museo: i risultati possono essere più o meno “alti” ma la metodologia operativa, esplicita o implicita, è la medesima. Se nel Medioevo le fondamenta su cui si basava la preparazione iniziale dell’uomo di cultura erano le arti del Trivio ( retorica, grammatica, dialettica ) oggi forse dovrebbe essere la “scienza del narrare” ( non del comunicare, che è una trasmissione a una sola via.)
La “scienza del narrare” (!) insegna che una narrazione ha bisogno di alcuni elementi fondamentali: lo scatto attenzionale, il patto fiduciario, il polemos, la condivisione dei segni, l’uso delle metafore, la costruzione di cornici. Questo vale nelle narrazioni complesse e nelle narrazioni sintetiche. Addirittura, più una narrazione è breve e compressa, più deve seguire le regole del narrare. Se so narrare una cosa questa diventa un oggetto narrativo, se non so narrarla rimane cosa. Se tolgo la narrazione a un oggetto narrativo esso torna cosa.
In questa prospettiva, neppure il prototipo più geniale immaginato dal celebre designer, il prodotto artistico del grande creativo, il capo di moda dell’immaginifico stilista, il progetto del brillante innovatore sono, di per sé, oggetti narrativi. La potenzialità narrativa di un oggetto non sta certo nella grandezza vera o presunta dei suoi creatori o nella cosa in sé ( piccola o grande che sia). Risiede invece nel fatto che quell’oggetto riesca a essere vettore di una collegata narrazione. La genialità di un prodotto è nella sua capacità di narrare o dell’essere terreno, pretesto, spunto, scintilla, calco ecc. di una narrazione; e, allo stesso modo, l’importanza di un bene culturale sta soprattutto nel modo in cui è narrato.
La cultura del progetto (in ambito artistico-creativo come del design ecc.) appare proprio come una
specifica capacità-competenza di creare non “cose”
ma oggetti che sono o diventeranno narrativi.
Oggetti che magari si narrano da soli o che potranno essere narrati o rinarrati da future narrazioni ma che già, al momento, hanno un intrinseco portato di narrazione o una sufficiente potenzialità di divenire vettori di narrazioni.
La differenza tra una cosa e un oggetto narrativo sta non nella cosa in sé ma nell’aura narrativa che quella cosa catalizza.
La creazione di narrazioni o di potenziali narrativi contenuti in una singola cornice appare opera, ovviamente, complessa, raffinata, per molti aspetti immateriale. Si considerino i requisiti da soddisfare al contempo:
- bisogna affermare un conflitto esistente o potenziale;
- creare un patto fiduciario con il narratario;
- fissare un campo di gioco;
- costituire un sistema di segni;
- saper utilizzare metafore, metonimie, tropi…;
- riuscire a proporre potenziali cariche analogiche ecc.
Sono sfide sempre difficili. Eppure spesso, per fortuna, la creatività umana è riuscita ad affrontarle. Molte volte intuendo per istinto le regole del narrare, elaborandole in base alle precedenti esperienze più che studiandole direttamente. Ma, ovviamente, conoscere e capire direttamente le fondamenta di una disciplina può facilitare, e di molto, il compito.