Donbass e Ucraina

March 1st, 2022 § Comments Off § permalink

La “bolla mediatica” in relazione a quanto sta accadendo nell’Europa dell’Est dimostra ancora una volta come la propaganda sia uno strumento bellico. L’imposizione, da parte della maggior parte dei mezzi di comunicazione, di una visione di parte, strumentale o spesso falsa e decontestualizzata, apre la strada alle armi. Ma lo storytelling ormai coinvolge anche organismi che nulla avrebbero a che fare con la politica al fine per suscitare “condanne morali” e giustificare irrigidimenti e azioni altrimenti inaccettabili. Molte ONG, ambienti sportivi, circoli “pacifisti” o ecologisti al posto di esercitare una funzione moderatrice e e della riduzione della tensione proclamano – ingenuamente o prezzolati – la loro indignazione legittimando la radicalizzazione dello scontro, condotta dai governi per ragioni tutt’altro che umanitarie, e invocando, incredibilmente, censure contro chi ha visioni o posizioni differenti dalla loro.

Due articoli qui di seguito che meritano invece di essere letti:

https://www.francocardini.it/minima-cardiniana-367-2/#more-3564

https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/22398-barbara-spinelli-una-guerra-nata-dalle-troppe-bugie.html

Il fascino discreto (?) della pandemia

September 14th, 2021 § Comments Off § permalink

Chi l’avrebbe mai detto?

Chi avrebbe mai detto che  un problema di sanità pubblica – forse grave, forse non così grave, di certo non grave come altre pandemie del passato – sarebbe diventato questione politica tanto divisiva, questione etico-civile tanto rilevante, questione economico tanto devastante (ora e soprattutto in prospettiva)?

No, qualcuno che se lo aspettava probabilmente esisteva. Qualcuno che forse ci contava anche. Ma che si rivelasse problematica tanto universale io, per esempio, non me l’aspettavo.

Non mi aspettavo che tanta gente saltasse convinta sul carro dell’emergenza perenne, dell’ossessione vaccinale, del terrorismo mediatico senza più freni etici o morali.

Qualcuno l’ha fatto per ingenuità, per subalternità, per paura, per quel dilagante “tecnoevangelismo” che spinge a credere che il nuovo, di per sé, sia risolutivo del vecchio, e che la tecnica spazzerà via ogni miseria del presente e del passato verso un futuro di infinita e immortale felicità. Una neo-religione, insomma.

Altri, molti altri, hanno agito per convenienza e connivenza. Chi per esercitare un potere senza opposizione, chi per conquistare posizioni di primato, chi per lucrare su distribuzioni senza controllo di risorse pubbliche. Non soltanto in Italia, beninteso.

La pandemia sta esercitando un fascino discreto, penetrante, pervasivo. Beninteso collegato a una faccia e a delle pratiche sempre più feroci. Perché qualcuno che non crede a questo fascino, che sa che si stanno preparando disastri, che questa non è una guerra al virus ma una guerra civile (e forse prepara guerre totali) quel qualcuno continua a esistere e deve essere combattuto, stigmatizzato, criminalizzato. Deve essere messo a tacere. Perché in realtà non si tratta di una lotta al virus ma di una lotta di classe, tra le “classi” del XXI secolo nel mercato globale, tra blocchi geopolitici.

Una grande, straordinaria, globale narrazione è stata costruita, una narrazione a cui tanti si sono uniti e pochi contrapposti. E come in tutte le guerre le élite si pongono al comando di armate che manderanno allo sbaraglio. E le masse che non si oppongono la pagheranno in prima persona.

 

The discreet charm of the pandemic

Who would have thought?
Who would have thought that a public health problem – perhaps serious, perhaps not so serious, certainly not as serious as other pandemics of the past – would have become such a divisive political issue, such a significant ethical-civil issue, such a devastating economic issue (now and above all in perspective)?
No, someone who expected it probably existed. Someone who maybe even counted on it. But I, for example, did not expect it to be such a universal problem.
I did not expect so many people to jump on the bandwagon of the perennial emergency, of vaccination obsession, of media terrorism with no more ethical or moral restraints.
Someone did it because of naivety,  subordination, fear, that rampant “techno-evangelism” that leads us to believe that the new, in itself, is decisive for the old, and that technology will sweep away all misery of the present and the past towards a future of infinite and immortal happiness. In short, a neo-religion.
Others, many others, have acted out of convenience and connivance. Sameone to exercise power without opposition, or to conquer positions of leadership, or to make money on distributions without control of public resources. Not only in Italy, of course.
The pandemic is exerting a discreet, penetrating, pervasive appeal. Of course connected to a face and to increasingly ferocious practices. Because someone who does not believe in this charm, who knows that disasters are brewing, that this is not a war on the virus but a civil war (and perhaps prepares total wars) that someone continues to exist and must be fought, stigmatized, criminalized. He must be silenced. Because in reality it is not a fight against the virus but a class struggle, between the “classes” of the 21st century in the global market, between geopolitical blocs.
A great, extraordinary, global narrative has been constructed, a narrative to which many have joined and few opposed. And as in all wars, the elites place themselves in command of armies that they will send to ruin. And the masses who do not oppose it will pay for it themselves.-

 

Siamo tutti da educare…

July 26th, 2021 § Comments Off § permalink

Ma perché dobbiamo continuamente essere “educati”?

Una nota marca di the, sulle sue bustine, spiega che “Per parlare con gli amici non serve una chat”. Ah sì, grazie, molto interessante. Non ci avevo mai pensato. Meno male che me lo dite.

Massmedia, pubblicità, intrattenitori e personaggi noti, giornalisti: tutti ormai ci insegnano sempre qualcosa. E’ un’opera pedagogica nella quale i bambini siamo noi. Come dobbiamo mangiare, parlare, salvare il mondo, essere buoni, pensare per/bene e non per/male, essere morali…. Insomma, come comportarci “correttamente”. Quasi sempre questi insegnamenti appaiono delle banalità assolute, scontate, ma lentamente, inesorabilmente, proprio per questo affermano uno schema totalizzante: quello che noi cittadini siamo una massa di persone che si comporta male, da correggere, da educare, da convertire… E chi ci deve educare? Ma il Potere, ovviamente, e tutti quelli che lui decide debbano insegnarci a essere “bravi”: gli esperti del Bene scelti con grande cura.

Si tratta dell’onda lunga della distruzione della socialità iniziata qualche decennio fa. Un tempo la politica ascoltava (magari male) il popolo, a cui apparteneva la sovranità e che era un portatore di diritti economici e sociali nel suo complesso. Adesso il popolo disaggregato e ignorante – nella sostanza intimamente malato – deve ascoltare la politica perché altrimenti prevarrebbero il caos e l’ingiustizia e trionferebbero orrende pulsioni: e ascoltarla con attenzione, ubbidendo, altrimenti è giusto che chi non lo fa venga punito o quanto meno additato nella sua esecrabilità.

O meglio, bisogna ascoltare religiosamente quelli che a loro volta controllano la politica e posseggono la vera sovranità: sono costoro che, animati dal Bene, vogliono salvarci dal Male di cui siamo preda. Multinazionali, imprese, lobby, corporazioni, istituzioni ecc. ci insegnano la sostenibilità, l’ecologia, la modernità, la salute, la giusta economia, l’etica, la lungimiranza ecc. E siamo noi che non vogliamo imparare, i neghittosi irresponsabili e con l’età mentale di un undicenne.

Dalla politica corrotta che la società civile sana doveva guarire di un tempo si è giunti oggi alla società ammalata che le lobby sane devono curare.

La televisione di un tempo – che vergogna! – voleva educare il popolo con le tragedie dei classici al venerdì sera. Ora vogliono redimerci con spot e talkshow a tutte le ore. Ne è stata fatta di strada.

 

Dal Divino al Vaccino

April 21st, 2020 § Comments Off § permalink

Una catastrofe epistemologica

Ci guida la Scienza, dicono i Governi. La Scienza sarebbe così la base del loro agire, rigoroso, assoluto e giusto. Questa appare un’affermazione, con una conseguente pratica, di tipo fideistico. Proprio come un tempo si diceva “Ci guida Dio” ora si dice “Ci guida la Scienza”. Ma se nel caso dell’esistenza di Dio le opinioni possono essere discordi per la sostanziale indimostrabilità di ogni posizione, rispetto alla “Scienza” di una cosa si può essere certi: non esiste. Esistono gli scienziati, serie meno seri, discordi tra di loro, con visioni del mondo diverse, cresciuti in ambienti differenti, condizionati da opportunismi e convenienze, da simpatie e antipatie, da giochi di potere, tra sgambetti e favoritismi. Esistono le loro idee, più o meno argomentate e supportate da pratiche concrete. Ma una Scienza in astratto, con “Verità definitive” da far discendere sulla Terra, non esiste. Esiste soltanto un metodo scientifico che si sviluppa nei tre momenti di un ciclo continuo: formulazione di ipotesi, riscontro di loro incoerenza con dati sperimentali, sanatura di tali incoerenze in nuove ipotesi. E così via. La “Scienza” non è una raccolta di certezze oggettive ma un semplice flusso di ipotesi probabilistiche soggette a verifiche operative in ambiti specifici.

E allora perché fingere che esista questa suprema e metafisica bussola che dovrebbe guidare con certezza assoluta i comportamenti dei Governi? Evidentemente perché serve a costruire gabbie di giustificazione e protezione al Potere e soprattutto ai loro chierici. Serve a impedire le voci dissidenti con la facile scusa che “non sono scientifiche”. Serve a legittimare comportamenti autoritari con la giustificazione che non esistono alternative perché “la Scienza non è democratica”.

E che questa Scienza tanto astratta sia soltanto una copertura di opportunismi e improvvisazioni lo si vede nei provvedimenti concreti per questa pandemia. Non in relazione a ciò che avviene all’interno degli ospedali, dove forse non tutti ma certo molti cercano onestamente di applicare pratiche mediche continuamente affinate e migliorate. Bensì nell’ambito della politica, delle decisioni dei “responsabili”, delle strategie. Sono identiche a quelle che venivano applicate nella pandemie dei secoli scorsi: cordoni sanitari, isolamenti, stigmatizzazioni, ricerca di capri espiatori e di improvvise soluzioni miracolose. E soprattutto invocazioni al rimedio supremo che un tempo era l’intervento divino mediato dalle chiese, ora la scoperta di un vaccino grazie appunto alla Scienza e ai suoi chierici. Insomma, un impasto variabile di improvvisazione, di ricerca di giustificazioni, di giochi alla roulette nella speranza di trovare il numero giusto, di scopiazzature su quello che fanno altri altrove.

I governi non dovrebbero essere guidati da una pretesa mitica Scienza che non esiste ma da un concreto buonsenso che può essere discusso e condiviso e che definisca alcune direttive all’interno delle quali agire “scientificamente”. Al contrario, far la voce grossa, ergendosi a custodi e tutori di una Verità suprema e indiscutibile, è il primo modo per creare confusione, risentimenti, dissapori, contrapposizioni, delegittimazione, odio.

Temo stia prevalendo questa seconda linea di comportamento.

 

 

 

Il sogno di un uomo ridicolo

July 16th, 2019 § Comments Off § permalink

da F. Dostoevskij

Nella primavera di quest’anno ho collaborato, come assistente alla regia di Lorenzo Loris, alla messa in scena del monologo tratto dal racconto del grande Autore russo presto il teatro Out Off. Di questa esperienza ho realizzato anche un film documentario del making of (dal titolo Mac Dos – Dostoevskij in Mac Mahon) della durata di 52′ che verrà presentato ufficialmente in autunno. Lo spettacolo sarà ripreso nel mese di dicembre.

 

 

La mia pagina musicale su Youtube

January 20th, 2019 § Comments Off § permalink

My first songs are in…

https://www.youtube.com/channel/UCuEYtmVRHx_J8c4lKY1u5xQ

 

Il quartiere dell’Unione Europea a Bruxelles

January 9th, 2019 § Comments Off § permalink

Sì, vale il viaggio.

Visitare il nuovo nuovo immenso quartiere dell’Unione Europea, che pare sia costato un paio di miliardi di euro, è un’esperienza molto interessante. E’ enorme, visibile testimonianza di una titanica  presunzione di essere qualcosa di nuovo, importante, nobile, protettivo, generoso, definitivo…  Ogni edificio, ogni piazzetta, ogni passaggio interno o esterno omaggia, in apparenza equanimemente, uno dei Paesi componenti l’Unione, uno dei suoi passati leader europeisti, uno dei suoi “successi”. Altiero Spinelli, quello del Manifesto di Ventotene e della necessità della guerra all’Unione Sovietica, è celebrato ovunque. Il tutto con il classico discorso autoreferenziale di ogni regime, quello che afferma “Ora ci siamo noi, è iniziata un’epoca nuova, tutta la violenza del passato è stata superata. Noi siamo, insomma, la fine della Storia e l’inizio della realizzazione del Sogno”. La Storia è piegata al presente. Rigorosamente anticomunista, rigorosamente buonista, rigorosamente ottimista. Sogno, etica, ecumenismo… Non una parola sui disastri combinati, sulla frenetica opera delle lobby finanziarie, sui privilegi dei “mandarini” che lo popolano. Un monumento al presente. Un monumento di vetro straordinariamente opaco e, credo, di straordinaria fragilità.

December 21st, 2018 § Comments Off § permalink

Design e narrazione

Una mia comunicazione chiestami anni fa dall’Università di Aveiro e forse ancora interessante

Mitologie classiche e saghe nordiche. Parabole bibliche e paesaggi danteschi. Grandi cicli pittorici e visioni escatologiche. Tragedie shakespeariane e romanzi di Stendhal.

Queste sono tutte narrazioni, come ben sappiamo.

Ma sono narrazioni anche le analisi sociologiche e le cronache giornalistiche, le ricostruzioni storiografiche e le promesse della politica, i sogni del cinema e i paradisi del marketing. E poi le requisitorie nei processi, i format televisivi, le teorie scientifiche…

Le prime sono soprattutto narrazioni “di invenzione”.

Le seconde soprattutto narrazioni “di realtà”.

Le prime creano mondi virtuali, di immaginazione o di fantasia, e servono per sognare alternative possibili o impossibili all’esistente, per immaginare nuove strade, per progettare mondi futuri, per raccontare dimensioni altrimenti invisibili.

Le seconde creano invece cornici nuove alla nostra visione della realtà e servono a modificare i nostri punti di vista su ciò che ci circonda, a cambiare il nostro rapporto col mondo, a trasformare le scale di valori, i modelli di comportamento, le forme della relazione sociale…

Insomma, narrare non è soltanto inventare mondi immaginari ma anche descrivere, interpretare e trasmettere mondi reali. Narrare significa mettere in comune rappresentazioni virtuali e materiali, fantastiche e concrete, infinitamente piccole e immensamente grandi. Grazie alle narrazioni noi, esseri umani, edifichiamo le nostre strutture identitarie personali e collettive. E lo facciamo ricostruendo i mondi del passato che ci hanno originato, analizzando i mondi del presente in cui dobbiamo vivere, progettando i mondi del futuro che vogliamo realizzare.

Attraverso le narrazioni noi ci rapportiamo con l’esistente per trasformarlo.

Anche la cultura del progetto è narrazione.

Narrazione di realtà perché bisogna capire da cosa si parte. E al contempo narrazione di invenzione perché bisogna saper vedere dove si arriverà.

La cultura del progetto è lì nel mezzo tra ciò che già è – ma devo saper vedere in una prospettiva diversa – e ciò che può essere – ma che devo riuscire a immaginare e a comunicare agli altri.

E se nella cultura del progetto facciamo rientrare il design, l’architettura, l’urbanistica, moda ecc., dunque fare design, architettura, urbanistica, moda significa costruire narrazioni.

Ma quali sono le regole basilari del narrare, di questo continuo processo umano che produce rappresentazioni e le comunica?

Per stabilirlo bisogna far tesoro della storia profonda e millenaria della narrazione, abbattendo tutti quei recinti disciplinari che oggi sembrano segmentarla in tanti orti differenti, privi di regole comuni, corporativi e autoreferenziali. Bisogna, in qualche modo, scavare nel tempo e andare alle sua fondamenta. Non è un paradosso affermare che il costruire letterariamente una mitica guerra di Troia segue le stesse regole dell’edificazione di un grande magazzino IKEA, che la realizzazione di un film condivide fasi essenziali dell’allestimento di un museo: i risultati possono essere più o meno “alti” ma la metodologia operativa, esplicita o implicita, è la medesima. Se nel Medioevo le fondamenta su cui si basava la preparazione iniziale dell’uomo di cultura erano le arti del Trivio ( retorica, grammatica, dialettica ) oggi forse dovrebbe essere la “scienza del narrare” ( non del comunicare, che è una trasmissione a una sola via.)

La “scienza del narrare” (!) insegna che una narrazione ha bisogno di alcuni elementi fondamentali: lo scatto attenzionale, il patto fiduciario, il polemos, la condivisione dei segni, l’uso delle metafore, la costruzione di cornici. Questo vale nelle narrazioni complesse e nelle narrazioni sintetiche. Addirittura, più una narrazione è breve e compressa, più deve seguire le regole del narrare. Se so narrare una cosa questa diventa un oggetto narrativo, se non so narrarla rimane cosa. Se tolgo la narrazione a un oggetto narrativo esso torna cosa.

In questa prospettiva, neppure il prototipo più geniale immaginato dal celebre designer, il prodotto artistico del grande creativo, il capo di moda dell’immaginifico stilista, il progetto del brillante innovatore sono, di per sé, oggetti narrativi. La potenzialità narrativa di un oggetto non sta certo nella grandezza vera o presunta dei suoi creatori o nella cosa in sé ( piccola o grande che sia). Risiede invece nel fatto che quell’oggetto riesca a essere vettore di una collegata narrazione. La genialità di un prodotto è nella sua capacità di narrare o dell’essere terreno, pretesto, spunto, scintilla, calco ecc. di una narrazione; e, allo stesso modo, l’importanza di un bene culturale sta soprattutto nel modo in cui è narrato.

La cultura del progetto (in ambito artistico-creativo come del design ecc.) appare proprio come una

specifica capacità-competenza di creare non “cose”

ma oggetti che sono o diventeranno narrativi.

Oggetti che magari si narrano da soli o che potranno essere narrati o rinarrati da future narrazioni ma che già, al momento, hanno un intrinseco portato di narrazione o una sufficiente potenzialità di divenire vettori di narrazioni.

La differenza tra una cosa e un oggetto narrativo sta non nella cosa in sé ma nell’aura narrativa che quella cosa catalizza.

La creazione di narrazioni o di potenziali narrativi contenuti in una singola cornice appare opera, ovviamente, complessa, raffinata, per molti aspetti immateriale. Si considerino i requisiti da soddisfare al contempo:

    - bisogna affermare un conflitto esistente o potenziale;

    - creare un patto fiduciario con il narratario;

    - fissare un campo di gioco;

    - costituire un sistema di segni;

    - saper utilizzare metafore, metonimie, tropi…;

    - riuscire a proporre potenziali cariche analogiche ecc.

Sono sfide sempre difficili. Eppure spesso, per fortuna, la creatività umana è riuscita ad affrontarle. Molte volte intuendo per istinto le regole del narrare, elaborandole in base alle precedenti esperienze più che studiandole direttamente. Ma, ovviamente, conoscere e capire direttamente le fondamenta di una disciplina può facilitare, e di molto, il compito.

San Roberto dalla Campania

March 26th, 2018 § 0 comments § permalink

Note sulla fenomenologia di un eroe contemporaneo

(pubblicato su PaginaUno n. 16, febbraio/marzo 2010 e ripreso in relazione a

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-menzogne_rai_su_ghouta_roberto_saviano_quando_lascerai_in_pace_la_siria_e_il_suo_popolo/6119_23501/)

 

Lo sguardo è penetrante, l’espressione sofferta. È chiaro, con la vita che fa, con quella scorta che ha tolto ogni rifugio alla sua esistenza, che gli impedisce il nido di una casa, il calore di una famiglia…  L’estetica fotografica con la quale viene ritratto è barocca e sempre uguale: il volto ha tratti caravaggeschi ed è illuminato da una luce che giunge da lontano, che sottolinea la barba lunga, soffertamente impegnata, del nostro eroe e gli dà rilievo nel mezzo di un oceano di ombre. Sì, lui è il Cavaliere della Bellezza – illuminato da una Grazia superiore – che lotta contro il buio del Male.

Il suo sito internet è ricco, ben curato, con versioni in tedesco, francese, inglese e spagnolo. La sua agenzia editoriale è la più alla moda del Paese. Ma tutto ciò è necessario: Roberto Saviano – di lui stiamo parlando – non è più un personaggio di cronaca locale ma un fenomeno globale, un vero protagonista del nostro tempo, e rappresenta la storia edificante ed esemplare di un giovanotto che, pur nato nell’infame, immonda, zozza provincia campana, sa levarsi animato da una superiore caratura etica, sa riscattarsi con le proprie forze dalle colpe della sua terra, sa ergersi a coscienza etica del mondo…

Giovanni Di Lorenzo, il direttore del settimanale tedesco Die Zeit, nella sua laudatio per il premio Fratelli Scholl – assegnato nel 2007 ad Anna Politkovskaja, senza scorta e assassinata – sostiene che “al momento non c’è nessuno in Italia con una storia che mi commuova e mi indigni quanto quella di Roberto Saviano. […] Si ritrova, lui che ha ancora trent’anni, a portare due fardelli, di quelli che uno solo basterebbe a schiacciare un uomo”. Pur avendo nome e cognome italiano, il direttore conosce poco e soprattutto male il nostro Paese. In poche ore trascorse non nei salotti ma per le strade, il bravo giornalista potrebbe raccogliere mille e mille storie italiane molto più commoventi e degne di indignazione. Storie di persone con fardelli che schiaccerebbero non uno ma cento uomini. Storie di extracomunitari annegati, di rom perseguitati, di piccoli commercianti taglieggiati, di precari disperati, di prostitute massacrate, di detenuti dimenticati… Storie di poveretti infelici, microscopici e sfigati, che, purtroppo per loro, non sono sostenuti dalla più grande industria editoriale nazionale di proprietà del capo di governo, non sono idolatrati da grandi giornali di opposizione (opposizione?), non sono ospitati sulle reti pubbliche in prima serata da trasmissioni nazionali e portati in scena con complesse scenografie teatrali.

Roberto Saviano dice di odiare il suo libro Gomorra perché (se anche lo ha reso ricco) gli ha rovinato la vita: “Lo detesto. Quando lo vedo nella vetrina di una libreria guardo subito dall’altra parte”.

C’è da domandarsi quanti siano i testimoni in processi al crimine organizzato che odiano il giorno in cui hanno accettato di denunciare ed esporsi, in cui hanno dovuto cambiare nome, sparire dalla circolazione, abbandonare luoghi, radici, parenti e amicizie: e che non ricevono né plausi, né nobili inviti, né ammirazione (quasi) generale ma si ritrovano invece nella solitudine (e nella povertà).

Saviano è amato da quasi tutti. Va bene come merce da esportazione: ‘ah, meno male che c’è anche un’Italia pulita…’; va bene all’opposizione ufficiale, che supplisce alla propria inesistenza (o connivenza) politica con il plauso ebete alle icone comiche, culturali e televisive (con le quali bisognerebbe solidarizzare perché perseguitate dal Presidente/Imperatore); va bene a coloro che, con un click telematico al giorno a favore di testi di cui forse non capiscono bene il senso, si sentono sinceramente convinti di contribuire a migliorare il Paese; va bene alla fondazione FareFuturo che lo trova “un grande pensatore di destra”; va bene perfino ai leghisti, perché si erge come l’esule schifato di una cultura meridionale corrotta e inetta (purché non dica che Milano è una città del Sud!). Va bene infine a chi è al governo, perché esprime un’alata testimonianza ‘di coscienza’ che vola alta, altissima, e non si abbassa mai a una concreta contrapposizione ai veri rapporti di potere – dopo l’appello lanciato su Repubblica contro la legge sul processo breve, il ministro Bondi affettuosamente lo invita a “non abbandonare il suo impegno civile e culturale tanto più limpido e ascoltato quanto più alieno da pregiudizi ideologici”; Saviano risponde ringraziando, apprezzando “il tono rispettoso e dialogante”, affermando che “certe questioni non possono né devono essere considerate appannaggio di una parte politica” e che “schierarsi non significa ideologicamente”.

Bisogna riconoscerlo, Saviano sa scegliere con cura le cause per le quali ergersi commosso: apertamente a favore di quelle potenzialmente molto ‘popolari’, sparisce in un silenzio di tomba rispetto a quelle ‘impopolari’ (simile in questo all’altro pezzo di quarzo Nanni Moretti, che compare soltanto quando sta per uscire un suo film da ‘promozionare’). Saviano con caschetto da pompiere e molto ben accolto dalla Protezione civile denuncia le vergogne collegate al terremoto in Abruzzo: chi può non essere d’accordo? (Anche se poi si fa prendere la mano e aggiunge generiche considerazioni sulla presenza storica della mafia in quella regione che lasciano basiti molti abruzzesi: tutti conniventi con la criminalità organizzata?) Qualcuno l’ha sentito invece in occasione del quasi pogrom contro i rom di Ponticelli? Qualcuno lo ha sentito dire che lo sfruttamento neo-schiavista degli extracomunitari è dovuto a un sistema economico che in Italia è fisiologico e non patologico? Qualcuno lo ha sentito denunciare la tragedia del precariato? Preferisce una puntatina a Barcellona per una toccante intervista al calciatore Lionel Messi, Pallone d’Oro 2009…

In televisione cita Varlam Salamov e Ken Saro-Wiwa (e si legittima implicitamente come eroico ‘scrittore civile’). Piccolo particolare: Varlam Salamov ha fatto diciotto anni di gulag sotto Stalin, Saro-Wiwa è stato impiccato in Nigeria dopo un processo farsa. Nessuno di loro ha avuto la scorta dal ministero degli Interni. Settimane fa il comune di Milano – tra Ambrogini d’oro che premiano Marina Berlusconi e i nuclei di vigili che danno la caccia ai clandestini (si badi, gente che viene presa a caso sui tram e messa in gabbia senza aver commesso alcun reato) – ha votato all’unanimità per offrirgli la cittadinanza onoraria: l’offerta non è stata respinta con sdegno.

Pochi criticano Saviano. L’ha fatto Vittorio Pisani, capo della Squadra mobile di Napoli, che afferma di aver dato parere negativo alla concessione allo scrittore della scorta: “Ho arrestato centinaia di delinquenti. Ho scritto, testimoniato e giro per la città con mia moglie e con i miei figli senza scorta. Non sono mai stato minacciato. […] Resto perplesso quando vedo scortate persone che hanno fatto meno di tantissimi poliziotti, carabinieri, magistrati e giornalisti che combattono la Camorra da anni”. L’ha osato fare anche Nicola Tanzi, segretario generale del Sap, Sindacato autonomo di polizia: Saviano “non è un eroe, al contrario dei poliziotti che stanno tutti i giorni in prima linea sul campo. […] La lotta alla Camorra non si fa col varietà, con le luci abbaglianti degli studi televisivi e le paillettes di prima serata, né l’impegno antimafia ha bisogno di showman. La vera lotta si svolge in trincea ed è sostenuta giorno per giorno da migliaia di poliziotti e di appartenenti alle forze dell’ordine che sul campo contrastano il crimine organizzato”.

Qualcuno ha avuto dei dubbi davanti a queste dichiarazioni? Neanche per sogno. In compenso i due poliziotti sono stati quasi additati come complici, più o meno coscienti, della Camorra. Saviano ha denunciato di sentire l’inizio di un abbandono, di un isolamento, di uno sgretolarsi di quella compattezza istituzionale e civile che fino ad allora l’aveva protetto, ricordando che Peppino Impastato, Giuseppe Fava e Giancarlo Siani “hanno pagato con la vita la loro solitudine”; subito si sono mossi opinione pubblica, giornali, capo della Polizia…

Ma se Saviano è così spaventosamente pericoloso, per la Camorra, perché questa – impossibilitata dalla scorta a colpire lui – non minaccia il presentatore Fabio Fazio, l’indifesa agenzia letteraria, il regista Matteo Garrone (che, anzi, ha avuto via libera per tutte le riprese a Scampia), l’ufficio commerciale di Mondadori, le librerie che espongono il suo libro, eccetera? Perché non minaccia le redazioni di Repubblica e de L’Espresso che pubblicano i suoi preziosi articoli? Perché non intimidisce chi lo propone come candidato alla presidenza della Regione Campania?

Quando lui cercava casa a Napoli (al Vomero, il quartiere bene della città), dopo aver visto sei appartamenti (alcuni dei quali non andavano bene a lui…) ne ha scelto uno che però gli sarebbe stato rifiutato dalla proprietaria perché i vicini le avevano detto che “nella via si sarebbe persa la pace”. Saviano, indignato per il rifiuto, avrebbe interrotto la ricerca dichiarando di voler espatriare, andarsene via per sempre. Non l’ha fatto.

Ma intanto era subito scattata una grande solidarietà nei suoi confronti. Gennaro Capodanno, presidente del Comitato valori collinari di Napoli, si era dichiarato amareggiato e deluso offrendosi per una collaborazione alla ricerca di una casa se Saviano avesse cambiato idea. Il sindaco di Giffoni Valle Piana aveva offerto a titolo gratuito un antico casale ristrutturato, immerso tra gli ulivi secolari del borgo medioevale di Terravecchia e di proprietà del comune, “da cui si gode il paesaggio mozzafiato e il castello federiciano. Siamo certi che in quest’oasi di pace e tranquillità Saviano ritroverà nuovi stimoli per poterci consegnare altri capolavori. Lo invitiamo, pertanto, fin da ora a partecipare alla prossima edizione del Giffoni Film Festival…”.

E la Camorra a loro non dice niente?

Ma che cosa possono pensare i tanti senzacasa napoletani, o quelli che soltanto con abusi edilizi si sono messi un tetto sulla testa? Loro sono gli infami, gli zozzi, gli ignoranti. Loro non meritano una casa regolare. Tanto più un casale gratis, un’oasi di pace…no. Loro meritano l’Inferno in cui vivono.

Il caso di Saviano – a mio avviso – è esemplare dell’ipocrisia di quest’epoca, dei suoi precipitosi innamoramenti mediatici, della sua incapacità di analizzare senza schemi precostituiti, della sistematica mancanza di approfondimento critico in tanti operatori dell’informazione, della rapidità nella costruzione di miti ‘facili’ per distrarre dai veri tragici disastri politici, sociali ed economici del presente.

La storia della fine della Storia…

February 6th, 2018 § Comments Off § permalink

Ci avevano detto che la Storia era finita.

Lo dicevano professori di università americane a cui tanti si erano accodati fidenti. Lo ripetevano economisti premiati con premi Nobel. Lo reiteravano giornalisti “impegnati” a fingersi colti e attenti al mondo “reale”. Ormai le “sorti magnifiche e progressive” parevano assicurate dal trionfo di un capitalismo umano, sostenibile, impegnato, inclusivo, globale. Sconfitto il comunismo, il moderno demonio, il mondo si sarebbe avviato con tranquilla sicurezza verso un benessere universale garantito dalle nuove tecnologie, e chi non lo capiva era vecchio e sclerotico.

Ma ora emergono tensioni e contraddizioni in ogni ambito, a ogni livello. E cosa fanno quelli che vedevano lontano? Lanciano accuse, gridano al tradimento, accumulano arsenali, organizzano repressioni contro i “vecchi mostri” che starebbero riemergendo.

Insomma, la Storia sta preparandoci un amaro risveglio.