Il quartiere dell’Unione Europea a Bruxelles

January 9th, 2019 § Comments Off § permalink

Sì, vale il viaggio.

Visitare il nuovo nuovo immenso quartiere dell’Unione Europea, che pare sia costato un paio di miliardi di euro, è un’esperienza molto interessante. E’ enorme, visibile testimonianza di una titanica  presunzione di essere qualcosa di nuovo, importante, nobile, protettivo, generoso, definitivo…  Ogni edificio, ogni piazzetta, ogni passaggio interno o esterno omaggia, in apparenza equanimemente, uno dei Paesi componenti l’Unione, uno dei suoi passati leader europeisti, uno dei suoi “successi”. Altiero Spinelli, quello del Manifesto di Ventotene e della necessità della guerra all’Unione Sovietica, è celebrato ovunque. Il tutto con il classico discorso autoreferenziale di ogni regime, quello che afferma “Ora ci siamo noi, è iniziata un’epoca nuova, tutta la violenza del passato è stata superata. Noi siamo, insomma, la fine della Storia e l’inizio della realizzazione del Sogno”. La Storia è piegata al presente. Rigorosamente anticomunista, rigorosamente buonista, rigorosamente ottimista. Sogno, etica, ecumenismo… Non una parola sui disastri combinati, sulla frenetica opera delle lobby finanziarie, sui privilegi dei “mandarini” che lo popolano. Un monumento al presente. Un monumento di vetro straordinariamente opaco e, credo, di straordinaria fragilità.

False notizie, false flags, blogger e uffici stampa ingannatori: i filtri e le verifiche nel giornalismo.

February 13th, 2017 § Comments Off § permalink

Mio intervento introduttivo al convegno per giornalisti tenutosi allo IULM di Milano il 10 febbraio 2017

“… L’idea di questo incontro è nata circa quattro mesi fa. Già allora mi sembrava interessante riflettere sul piano teorico e deontologico della tematica del conflitto in atto tra fronti contrapposti di attori dell’informazione, da una parte quello che sembra far capo al tradizionale Main Stream Media e dall’altra quello invece emergente nel mondo Internet. Un conflitto nel quale da tempo venivano scambiate accuse reciproche di produrre fake news e fake stories. In italiano siamo più sbrigativi e il termine che veniva e ancora viene prevalentemente è quello unificante e dall’etimologia vetero-contadina di bufale.

Ma in questi quattro mesi – e soprattutto dopo l’elezione di Trump – la contrapposizione tra questi due schieramenti (che ovviamente non sono così compatti) è andata approfondendosi. Sono emersi nel frattempo i concetti di post-truth e di alternative-truth su cui magari potremo tornare. Il MSM accusa molti siti Internet di menzogne sistematiche a fini economici o politici, di essere al servizio di interessi occulti, immorali, stranieri, inconfessabili, scopi cinici e truffaldini che disorienterebbero e confonderebbero l’opinione pubblica. Da canto loro non pochi siti di informazione “alternativa” e osservatori esterni ribattono che il MSM nel suo complesso non obbedisce più al suo ruolo istituzionale – che dovrebbe essere quello di una articolata e pluralistica attività informativa – ma sopravvive al solo scopo di servire élite varie (nazionali e internazionali) e di coprire con un manto di falsità sostanziale (dunque non piccole falsità ma colossali falsità) il disagio pubblico, l’emergere di una ribellione sociale, il giusto contraddittorio di idee ecc. E per questo tradimento, o soprattutto per questo, starebbe subendo un giusto tracollo di vendite e ascolti.

Insomma, ognuno dei due schieramenti (inizialmente sfrangiati ma che si stanno compattando, entrambi non privi di cosiddetti infiltrati, di quinte colonne, di whistleblower ecc. – c’è davvero di tutto…) accusa l’altro di essere spesso non “degno” della sua funzione sociale e di minare alla base la democrazia perché una libera informazione è alla base di una democrazia sostanziale. Accuse radicali e oggettivamente preoccupanti perché il sistema informativo non serve soltanto a realizzare un affresco del presente e del passato ma soprattutto a legittimare o delegittimare scelte future: le battaglie nell’informazione appaiono spesso come le grandi manovre prima delle guerre reali o degli interventi legislativi più decisi.

Mi sembra però che in questi quattro mesi non ci sia stato soltanto un ampliarsi e un radicalizzarsi dello scontro (ormai gli interventi sulla questione sembrano diventati una alluvione quotidiana) ma si sia verificato anche un salto di qualità. E’ comparsa infatti l’idea di censura. Un’idea non soltanto teorizzata ma ormai da qualcuno inizialmente praticata nel concreto di far tacere gli altri, di tagliargli le gambe. Una censura teorizzata apertamente da politici e organi istituzionali ma sotterraneamente sempre più attivata da gruppi che si autorappresentano come controllori della salute pubblica intellettuale. Con la motivazione di combattere il falso e l’odio in rete (che pure appare un problema ben diverso da quello del falso) costoro si stanno sedendo su un trono di Verità per ostacolare, per delegittimare e sabotare organi di informazione contrapposti. In questa strategia al momento sembrano particolarmente attivi alcuni settori del MSM che, alleati con ambienti politico-economici, o alle loro dipendenze, si sono messi a sparare con i grossi calibri. Attualmente esiste un’asimmetria di forze per cui il fronte opposto agisce soprattutto con tattiche di guerriglia peraltro non indolori. L’evoluzione del conflitto appare tutta da decifrare. Attendiamoci presto molte sorprese.

In ogni caso stiamo assistendo alle prime mosse di un’autentica guerra condotta da settori apparentemente inaspettati e con i travestimenti più legalitari.

Voglio ringraziare ovviamente l’OdG Milano che ha reso possibile questo incontro e tutti i relatori presenti che hanno gentilmente accettato il mio invito in cambio di niente. O meglio, in cambio soltanto della possibilità di portare un contributo a un dibattito collettivo etico e deontologico che a me sembra fondamentale.

Sono persone credo con approcci culturali e ideali differenti – non ci sono state particolari indagini – ma unite tutte dalla convinzione della necessità di una riflessione vera, profonda, aperta, non finta su questi problemi.

Penso che da loro potremo aspettarci considerazioni più profonde e sensate di quelle dei tanti ragazzini informatici – ragazzini di età o di testa – che purtroppo capita di sentire in convegni o leggere su certa stampa i quali spiegano quanto sia facile scoprire le “bufale” utilizzando qualche sito appena creato in California chissà da chi, e lo fanno parlando con un’ingenuità e superficialità (consideriamole tali) degne dell’estasi tecnofila per un nuovo modello di Iphone. Sulla capacità di disinformazione di questi tecnofili, più o meno voluta e cosciente, sembrano poggiarsi tanti progetti di censura digitale.

Questo convegno inizialmente aveva inizialmente nel titolo un riferimento a Rashomon, uno dei film-capolavoro di Kurosawa. La storia narrata parte da un tempio in rovina. Diluvia. Un monaco e un boscaiolo sembrano aspettare al riparo di un tetto rotto che smetta di piovere. Ma appaiono sconvolti. Sopraggiunge un viandante mezzo ladro. E i due iniziano a raccontare il motivo del loro turbamento. Il viandante-ladro li ascolta. Narrano di aver assistito al processo per l’omicidio di un samurai e la violenza carnale alla moglie del samurai da parte di un brigante presto catturato. Durante il processo tutte le versioni testimoniali dei protagonisti sono sostanzialmente diverse, quella del brigante, quella del moglie del samurai e quella… del samurai, che parla dall’oltretomba attraverso un medium. Chi ha detto la verità? O non l’ha detta nessuno? Oltretutto emerge che anche il boscaiolo ha assistito ai fatti e a sua volta il suo racconto forse è falso perché dopo l’omicidio ha rubato un prezioso pugnale del samurai…

Il film si conclude senza che noi spettatori si possa sapere chi dei quattro ha detto la verità. Non possiamo saperla perché nessuno l’ha detta, o forse qualcuno l’ha detta ma non sappiamo chi sia stato. La nostra condizione di spettatori del film diventa metafora della classica condizione umana del rapporto con il mistero della realtà e del suo caos. Perché di fatto la realtà attorno a noi non è ordinata. E’ conoscibile forse a frammenti sempre approssimativi e transitori, e chi ce la vuole raccontare ce la presenta spesso in modo strumentale e confuso. La realtà è plurima, e la sua sostanza sta nelle mille varianti della sua rappresentazione. Così la fatica del vivere è proprio nel cercare una rotta per rapportarsi a una realtà sfuggente per cercare di conoscerla per quanto è possibile, per rendercela sopportabile e percorribile – i costruttivisti dicono viabile .

In certe fasi storiche, poi, la realtà sembra diventare ancor più caotica, apparentemente contraddittoria e insensata, difficile da comprendere. Questo accade perché i nostri strumenti di comprensione – già mediocri ma comunque tarati su metri di misura precedenti, collegati al passato – diventano ancor più imprecisi, contraddittori e confusi. Ci si sente smarriti per la perdita degli abituali punti di riferimento, di costellazioni nella notte. Si tratta di una condizione particolarmente difficile quando, come oggi, il cielo è pieno di nuvole. Ci troviamo in un panorama di rovine già presenti o di edifici che stanno crollando (a voi scegliere quali priorità dar loro). Di fatto:

    • Alcune istituzioni si stanno letteralmente sfarinando.
    • Grandi certezze geopolitiche ed economiche narrate come definitive si stanno disfacendo.
    • Le bussole ideologiche appaiono sempre private dell’ago magnetico.
    • La crisi economica erode i rapporti sociali, li sclerotizza, ne radicalizza la contrapposizione.
    • I soldi sono sempre meno e sempre peggio distribuiti.
    • I ruoli e i riti professionali sono in crisi sotto la spinta eversiva di nuove tecnologie.

Questa condizione di smarrimento dei riferimenti ovviamente condiziona anche gli operatori dell’informazione.

Cosa sta accadendo ai giornalisti? Si tratta di una professione in crisi identitaria. Per molti è un’identità sempre più povera, assediata dalla precarietà, priva spesso di protezioni a meno che non ci sia un fedele arruolamento sotto gerarchie istituzionali forti. Tanti giornalisti, in un mercato dell’informazione sempre più affollato e tempestoso, sentono di aver perso il monopolio della materia prima con cui lavoravano: la notizia. Il pubblico, grazie alle nuove tecnologie, può arrivare ad essa prima e spesso meglio, con identica o maggior precisione, diversificando a piacere le fonti. Qualcuno, a bordo delle corazzate mainstream, nel mezzo di questa tempesta ha la speranza che queste siano inaffondabili ma spesso paga questa condizione di apparente sicurezza con il dover indossare una divisa o il dover sopportare le pressioni dei mille interessi trasversali che calano dai vertici. E comunque la sindrome Yamamoto (o la variante della sindrome della rana bollita) è dietro l’angolo.

Quale baricentro identitario rimane al giornalista in questa situazione?

Le norme non aiutano. La legge in Italia dice che per il giornalista è obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede.” art. 2 legge professionale 69/1963

Questa dovrebbe essere la bussola per esercitare “il diritto insopprimibile della libertà di informazione e critica” limitato soltanto “dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui”.

Qui nasce il problema colossale: che cos’è la verità sostanziale dei fatti? Probabilmente una mitologia. Simile o identica a quella dell’araba fenice. Sarebbe interessante analizzare questo concetto nelle sue componenti di verità, di sostanzialità e di fatto ma andremmo per le lunghe.

Al momento limitiamoci a dire che quando un giornalista afferma di stare alla verità sostanziale dei fatti – in un periodo storico in cui grandi agenzie di disinformazione sotterranea legate esplicitamente a lobby economiche e ideologiche, a interessi strategici, a settori militari, a servizi segreti parlano di questioni come “l’infiltrazione cognitiva”, le guerre della percezione, la comunicazione strategica – verrebbe voglia di iscriverlo a un corso-base di epistemologia.

A questo proposito citiamo un episodio ben noto.

Ron Suskind, un giornalista statunitense, racconta che nel 2004 Karl Rove, vice capo dello staff presidenziale di Bush, gli disse1, per tagliar corto a una serie di sue domande insistenti:Ora noi siamo un impero e quando agiamo, creiamo la nostra realtà. E mentre voi state giudiziosamente analizzando quella realtà, noi agiremo di nuovo e ne creeremo un’altra e poi un’altra ancora che potrete studiare. È così che andranno le cose. Noi facciamo la storia e a voi, a tutti voi, non resterà altro da fare che studiare ciò che facciamo”. I termini dello scambio dialettico furono poi negati da Rove e poi ribaditi da Suskind ma comunque descrivono bene in quale universo di finzioni ci troviamo.

E poi quanto citiamo ha scritto nel 2007 Cass Sunstein2, marito di Samantha Power, ex-ambasciatrice Usa all’ONU di Obama e lui stesso consigliere di Obama: “Gli agenti del governo (e i loro alleati) possono di entrare nelle chat rooms, nei social networks online o anche nei gruppi effettivamente reali con l’obiettivo di minare le teorie cospirative che filtrano sollecitando dubbi sulle loro premesse fattuali, logiche causali o implicazioni per un’azione politica… Il nostro principale suggerimento politico è che il governo si impegni nella infiltrazione cognitiva dei gruppi che producono teorie cospirative”. Questo – dice Sunstein – può essere fatto costruendo argomentazioni che discreditino tali teorie cospirative e ingaggiando gruppi privati che si impegnino nel counterspeech.

Un caso ormai esemplare, paradossale e ben chiarito si trova in rete alla voce blogger lesbica siriana

Ormai vengono creati falsi demos (utilizzando la parola demo nell’accezione di “corrente di opinioni” espressione di una volontà popolare) per costruire agende setting su cui attivare i giornalisti (Assange cita il caso del Barhein nel 2011). Questo viene fatto anche attraverso flussi di tweet robotizzati. Falsi demos per contrastare o inquinare veri demos. E come non accorgersi del sistematico uso dei troll che demolisce in pochi attimi qualsiasi discussione seria?

Dunque probabilmente il giornalismo è orfano (lo è sempre stato, ma ora più di prima) della verità sostanziale dei fatti.

Ma c’è gente convinta di averla questa verità. Quelli che stanno spingendo per la censura si rappresentano, come detto, quali vestali del Vero. Loro sanno cos’è la Verità e gli è facile e semplice e rapido scoprire il Falso.

Queste vestali della Verità sono unite dal considerare gli utenti del sistema informativo come degli influenzabili psicolabili che vanno difesi. Degli elettori senza cervello che hanno votato e voteranno con la pancia perché travolti dalle emozioni. Degli smarriti che danno ascolto alle sirene e ai pifferai: ecco la post-truth. Per questo bisogna proteggerli. Proteggere i ragazzini dai bulli in rete e gli adulti dai disinformatori. Bisogna proteggere le masse. Ci vuole una censura etica fatta da persone illuminate. Ci vuole chi contrasti la falsità con la Verità. Discorsi che sembrano così vecchi…

Ed ecco che nascono i siti antibufale presentati come liberi ed etici e non finanziati da qualcuno nell’ombra. Siti che magari hanno come testimonial Totti, Fiorello e Gianni Morandi. O siti come Propornot che denuncia 200 siti “nemici”, che giustifica l’anonimato dei propri autori con il fatto di “poter correre dei rischi” e viene comunque promosso dal Washington Post come altamente commendevole (salvo poi improvvise retromarce).

Ecco che sorgono gli appelli all’intervento pubblico normativo per forme censorie istituzionali, magari a Bruxelles visto che le istituzioni comunitarie sono tanto attendibili e popolari.

Ecco che un’alta cariche istituzionali che invocano la lotta alle bufale su siti ben noti per aver raccontato una probabile colossale bufala.

Ecco che si propongono campagne di “verità” nelle scuole e per i giovani.

Ecco che si creano pool di asseveratori che in un reticolo e supportandosi gli uni con gli altri decidono quali siti siano spacciatori di falsità e quali no. Per esempio Poynter o Correctiv o il sito di Le Monde.

Ecco che si minacciano provider e social network di multe salatissime se diffondono notizie false.

Ecco che i quartieri generali dei socialnetwork, collocati nell’iperspazio, passano all’azione delegittimando o contrastando siti che qualcuno avrebbe denunciato come spacciatori di falsità oppure che sono stati identificati da algoritmi investigatori. Dopo di che i loro responsabili verranno identificati, profilati e bloccati per sempre: la censura automatica a vita.

In particolare questa storia degli algoritmi matematici progettati da giovanotti in California è interessante: riducendo il mondo a un ologramma digitale loro riusciranno a identificare i bit di falsità e a incenerirli. Pensate a tutti i filosofi della storia dell’umanità, seduti qui davanti, Platone per primo con il suo mito della caverna e le ombre, che si disperano per essere stati tanto fessi da non aver capito che per scoprire la verità basta trovare la formula algebrica corretta…

Ancora pochi minuti per una questione forse fondamentale

Bisogna tagliare il nodo gordiano concettuale che sta nella parola bufale. Ci sono delle bufale che sono gravi e bufale che non sono gravi.

Le bufale-notizie queste sono quasi sempre banali, inessenziali e della durata di un mattino. La stessa alta carica istituzionale già citata pare si sia è dolorosamente lamentata perché qualcuno avrebbe detto che essa auspicherebbe una tassa sulla carne di maiali e l’obbligatorietà del burka per tutte le donne. Quanto durano queste bufale? Sono così devastanti? Si distrugge così una carriera politica?

Se uno di noi scrive nel suo sito che gli scienziati hanno scoperto che i terremoti sono colpa di un grande Puffo dei terremoti al centro della Terra (qualche tempo fa è stata detta non sul serio ma per gioco e non in rete, per fortuna) per quanto tempo gli si dà credito? Davvero è un attacco che disorienta l’opinione pubblica? O la Protezione civile, l’Ordine dei Geologi e la comunità dei Puffi devono preoccuparsi sul serio?

Poi ci sono bufale-storie. Queste sì che possono essere devastanti. Quelle che godono di una potenza di fuoco concentrica. Che sono talmente grosse che ci vogliono settimane per andare a verificarle e quando le hai verificate tutti stanno parlando di storie nuove. Che calano dall’alto e vengono reiterate a catena, in modo transmediale, in un gioco di specchi tra mainstream e socialnetwork più o meno autentici. Che verniciano di attendibilità testimonianze che riportano voci che riportano impressioni che riportano ipotesi. Quelle che vengono replicate da organi in giro per il mondo che si asseverano a vicenda. Quelle che mirano ad ammutolire e marginalizzare chiunque le metta in discussione inducendolo al silenzio.3

Queste bufale-storie sono più difficili da combattere e sono spesso emanazione di poteri visibili o invisibili.

Per svelarne la falsità ci vogliono delle controstorie alternative, trasversali, minoritarie. Ci vuole pensiero critico. Ci vuole dubbio. Ci voglio ipotesi alternative. Ma se arriva subito la censura a troncare qualunque pensiero divergente addio alle controstorie. E così poi ci pensa la realtà a smentirle, ma magari avviene troppo tardi, quando inizierà a diffondersi la rabbia per i troppi tradimenti subiti.

In conclusione i veri pericoli vengono dalle falsità del potere. I veri disastri sono causati dalle grandi menzogne dichiarate inoppugnabili, da quelle dei lupi che si travestono da pecore. E se – come certuni dicono – il sistema dei media sta crollando nella sua credibilità, questo avviene forse perché coloro che dovrebbero essere almeno un po’ al servizio del cittadino – una volta lo si definiva il quarto potere – si mostra non più di luogo di contrapposizione di visioni del mondo ma invece semplice servo del potere, dei poteri manifesti e di quelli sotterranei.

Fermiamoci qui anche le osservazioni da fare sono ancora moltissime. Pochi secondi per una considerazione finale. Nel film Rashomon forse una vera verità c’è. Non quella dei testimoni ma quella del regista: la metastoria non del delitto ma delle sue molteplici versioni. La sua verità è infatti indiscutibile perché ha raccontato onestamente tutte le verità parziali. E’ un insegnamento per ogni giornalista: quando racconti una verità sola sei nel falso; ma quando racconti il conflitto tra le verità contrapposte forse stai avvicinandoti al vero. Forse…

1“We’re an empire now, and when we act, we create our own reality. And while you’re studying that reality — judiciously, as you will — we’ll act again, creating other new realities, which you can study too, and that’s how things will sort out. We’re history’s actors . . . and you, all of you, will be left to just study what we do.”

2Government agents (and their allies) might enter chat rooms, online social networks, or even real-space groups and attempt to undermine percolating conspiracy theories by raising doubts about their factual premises, causal logic or implications for political action”

“We can readily imagine a series of possible responses. (1) Government might ban conspiracy theorizing. (2) Government might impose some kind of tax, financial or otherwise, on those who disseminate such theories. (3) Government might itself engage in counterspeech, marshaling arguments to discredit conspiracy theories. (4) Government might formally hire credible private parties to engage in counterspeech. (5) Government might engage in informal communication with such parties, encouraging them to help.” However, the authors advocate that each “instrument has a distinctive set of potential effects, or costs and benefits, and each will have a place under imaginable conditions. However, our main policy idea is that government should engage in cognitive infiltration of the groups that produce conspiracy theories, which involves a mix of (3), (4) and (5).”

Sunstein and Vermeule also analyze the practice of recruiting “nongovernmental officials”; they suggest that “government can supply these independent experts with information and perhaps prod them into action from behind the scenes,” further warning that “too close a connection will be self-defeating if it is exposed.” Sunstein and Vermeule argue that the practice of enlisting non-government officials, “might ensure that credible independent experts offer the rebuttal, rather than government officials themselves. There is a tradeoff between credibility and control, however. The price of credibility is that government cannot be seen to control the independent experts.”

3Qualche esempio:

    - il trickle down o teoria dello sgocciolamento;
    - l’Euro come moneta del Bengodi ;
    - la globalizzazione come nuova età dell’oro universale ovunque e dovunque;
    - le guerre umanitarie che portavano ovunque l’umanità afflitta nel Terzo Mondo;
    - la corruzione come unico esclusivo male dell’economia e unica ragione del debito pubblico;
    - lo spacciare l’innovazione tecnologica come soluzione di ogni problema sociale;
    - il rappresentare le start-up da fondare in giro per il mondo come rimedio principale ed entusiasmante alla disoccupazione giovanile;
    - lo stato sociale come palla al piede per un Paese dinamico.Posto che queste storie sono false, come si dimostra che sono false se non con delle contronarrazioni più solide, legittime, oneste e realistiche?

    Valori al G7? Quali valori?

    June 10th, 2015 § 0 comments § permalink

    “… this is a community of values. And that is why Russia is not among us…” ha detto Donald Tusk, presidente del Consiglio Europeo, inaugurando la recente riunione dei G7 in Baviera.

    Lasciamo perdere le questioni politico-diplomatiche con la Russia e restiamo al tema dei valori condivisi. Quali sarebbero questi valori unificanti del G7 e della Commissione Europea? Come si sono esplicati? In una leadership morale? In una tensione verso un mondo più giusto e meno violento? In un rispetto di ogni cultura? O piuttosto invadendo l’Irak, bombardando la Libia, armando l’Arabia Saudita che sta radendo al suolo lo Yemen, sostenendo e legittimando acriticamente Israele, finanziando ovunque destabilizzazioni e guerre civili, salvando banche e demolendo lo Stato sociale ecc.?

    A me sembra che il G7 sia una comunità di disvalori. E in particolare del disvalore dell’ipocrisia.

    La faccia gentile dell’Impero…

    June 9th, 2015 § 0 comments § permalink

    … e l’etica di chi la diffonde.

    Mi domando spesso quale sia il sentimento interiore di quei redattori della Repubblica, del Corriere, della Stampa ecc. ecc. quando, quasi quotidianamente, ricevono l’ordine (o lo fanno spontaneamente? ne dubito…) di mettere in pagina quella sequela di fotografie vezzose, carine e simpatiche di Obama e consorte che compaiono, specie prima di incontri internazionali, sui siti online dei loro giornali. Il Presidente in ginocchio su un tappeto della Casa Bianca che gioca con un bambino, che chiede una bella birra in Baviera, che si mangia un hotdog tra cittadini sorpresi ed entusiasti, che scherza con un invalido in carrozzella ecc. ecc. E la moglie che tiene un corso di ballo, che insegna ai bambini a mangiare sano, che indossa risparmiosa un vestito già indossato ecc. ecc.

    Con che spirito il redattore – l’ultima ruota del carro? – si mette a scegliere le foto che arrivano dall’ufficio stampa della Casa Bianca, o dall’ambasciata americana o da altre fonti, e ogni volta, giorno dopo giorno, pubblica quella che gli sembra più simpatica forse fingendo, a se stesso, di fare un neutrale servizio di informazione? Si rende conto che, nel suo piccolo, contribuisce con un suo tassellino alla perenne guerra politico-economica di una struttura di potere globale che, per mantenere  le sue posizioni o accrescerle, utilizza in parallelo pervasivo soft power narrativo e devastante hard power militare? Agisce in modo del tutto inconsapevole o pensa al mutuo da pagare?

    La linea politica di un organo di informazione ormai si comprende meglio dal modo in cui vengono gestite le immagini piuttosto che dal testo degli articoli.

    Erasmus per adulti…

    May 17th, 2012 § Comments Off § permalink

    … o del ministro nel Connecticut.

    Dunque il ministro della Giustizia Paola Severino è volata fino nel Connecticut per imparare a come sfoltire la popolazione carceraria ( ce lo dice Maurizio Molinari sulla Stampa del 15 maggio u.s. - http://www.ristretti.org/Le-Notizie-di-Ristretti/giustizia-il-ministro-severino-in-connecticut-a-lezione-di-svuota-carceri ). Un viaggio molto istruttivo, a quanto pare.

    In effetti sembra tutto molto ragionevole: quello Stato è uno dei più liberal degli USA, ha appena abolito la pena di morte e, se ha 16.000 detenuti, pare ne avrebbe il doppio senza sagaci leggi sul reinserimento che hanno un successo del 58%. Parlando con Leo Arnone, titolare del Dipartimento alle carceri, il ministro “fa domande tecniche, prende appunti e si dimostra ferrata sulle leggi del Connecticut “. Dice di essere in visita perché quello Stato è “un modello di successo negli Stati Uniti”: i suoi 16 penitenziari sono puliti, senza troppe restrizioni fisiche e insieme dal ferreo regime di sicurezza.  Arnone le spiega che le prigioni servono a riabilitare, non a sfornare criminali come quelli che sono entrati,  e che per il reinserimento degli ispanici e degli afroamericani è determinante la collaborazione delle Chiese. E aggiunge che i buoni risultati non sono stati ottenuti con leggi lassiste bensì con l’esatto contrario, con norme molto conservatrici per cui assai raramente il condannato esce prima del termine. Al termine dell’incontro, avvenuto nel Garner Correctional Institution, la Severino ringrazia per quanto “ha visto e ha imparato”.

    Una notizia edificante. In apparenza. Perché per valutarla forse bisognerebbe ricordarsi di contestualizzarla. Per esempio guardando quanti sono gli abitanti del Connecticut: soltanto 3.500.000. E il suo reddito medio: 54.000 dollari all’anno ( procapite è al primo posto negli USA ). Se in Italia avessimo gli stessi tassi di carcerazione ci sarebbero circa 280.000 detenuti. Adesso sono soltanto 65.000. ( In altre parole, nel Connecticut è detenuta circa una persona su 218, in Italia 1 su mille ). E uno va nel Connecticut per imparare a sfoltire la popolazione carceraria? Meno male che quello Stato è uno dei più liberal… liberal soltanto negli USA. Meno preda di una “ossessione securitaria” degli altri ( in tutti gli Stati Uniti la percentuale di carcerati è di un detenuto su 125 abitanti, in Italia sarebbero mezzo milione… ). Ma perché mai il ministro non fa un volo molto più breve e se ne va a vedere e imparare in Paesi europei che, pur non essendo paradisi, presentano condizioni di vita carceraria migliori dell’Italia e del Connecticut?

    Forse sono altre  le vere motivazioni di questo Erasmus ministeriale. Una subalternità culturale agli Stati Uniti? La convinzione che i problemi delle carceri si risolvono “con leggi ferree”? Necessità di relazioni internazionale con una forte comunità di origini italiane?

    Un classico caso di narrazione deformata.

    P.S. Di certo la battuta finale dell’articolo fa ricordare che al giornale non si dimentica mai la voce del padrone…

    Complotti…

    March 4th, 2012 § Comments Off § permalink

    … e complottismi

    La questione, mi sembra, viene spesso affrontata in base a uno di questi due modelli interpretativi ( ovviamente, qui molto schematizzati ) .

    1° Modello

    Da una parte stanno le verità dei “fatti”, pienamente acclarate dal mainstream giornalistico e televisivo tranne che in particolari del tutto marginali. Tali verità vanno in sostanza pienamente credute – fino a prova contraria – visto che sono il frutto di un sistema “libero”, articolato, dinamico. Un sistema che comunica soltanto l’essenziale, che si occupa di ciò che interessa per davvero all’opinione pubblica e che da questa viene tenuto sotto controllo perché la gente sa ben giudicare ciò che è importante e ciò che non lo è. Un sistema democratico e disponibile ad accettare il contraddittorio.

    Dall’altra parte stanno le congetture paradossali, le ipotesi fantasiose, gli scenari alternativi dei complottisti di ogni genere e sorta. Questi, come bui e oscuri eversori, spesso nascondendosi nel Web o in formazioni politiche marginali, mescolano e confondono le carte, irridono ai dati oggettivi, seminano il dubbio e l’incertezza al servizio di chissà quali interessi clandestini, nascondono le loro fonti.

    2° Schema

    Da una parte esiste un organico “Sistema Integrato Multimediale” ( da non confondersi con il SIM, lo “Stato Imperialista della Multinazionali” della tradizione brigatista ) che, fingendo di funzionare in base al sacro principio della “libertà di stampa”, in realtà è al servizio dei Grandi Poteri Mondiali per costruire narrazioni del tutto false ma funzionali all’edificazione della “Società dello Spettacolo” nella quale siamo immersi. La sua potenza di fuoco è tale che soltanto agendo trasversalmente, secondo i principi della “guerra asimmetrica”, è possibile combatterlo.

    Dall’altra parte stanno degli esseri liberi, dei piccoli gruppi di opposizione che combattono la falsità di queste rappresentazioni dominanti perché le ritengono strumentali al mantenimento dell’ingiustizia nella quale vive il mondo oggi. Essi agiscono con agilità, senza ipocrisie e in base a principi etici e non di convenienza economica.

    Io, francamente, in questa manicheistica contrapposizione non mi ritrovo. Non credo né a un modello interpretativo né all’altro.

    La questione è più complessa…

     

    Lezioni inutili della Storia (II)

    December 30th, 2011 § Comments Off § permalink

    La Storia non premia la Verità: premia i vincitori.

    Per la guerra con l’Irak la “Comunità internazionale” giustificò il suo scendere in campo affermando che quel Paese era in possesso di armi di distruzione di massa e “bisognava fermarlo”. Il Segretario di Stato americano esibì davanti al Consiglio di Sicurezza dell’ONU ( e all’opinione pubblica internazionale ) una straordinaria serie di falsità ( con rapporti, video, fotografie, boccette di sostanze misteriose ) per giustificare l’aggressione.  Saddam dal canto suo negava tutto. Le grandi manifestazioni contro la guerra furono del tutto inutili: i loro partecipanti venivano denunciati come degli ebeti complici oggettivi di un criminale. Alla fine, almeno centomila morti dopo, si è visto che aveva ragione Saddam ( che è finito impiccato ) e non Bush e i suoi alleati. Questi ultimi avevano proprio mentito, molti consapevolmente, altri inconsapevolmente ( ma la sostanza non cambia ). Le loro menzogne però oggi sono state dimenticate, o vengono considerate “trascurabili” da raffinati strateghi in base a considerazioni di realpolitik. Non che Saddam fosse buono, ma in questo caso – e centomila morti dopo – si è visto che aveva ragione lui ( e soprattutto avevano ragione i pacifisti ).

    La “Comunità internazionale” ( un concetto vago che di norma coincide con l’altrettanto vago concetto di “Occidente”, che a sua volta si identifica in base a una comune adesione a dei pretesi “valori occidentali” di democrazia e rispetto dei diritti umani a loro volta legittimati dalla “Comunità internazionale: insomma, un circolo “virtuoso”…) adesso afferma che l’Iran sta costruendo la bomba atomica. L’Iran nega. A chi bisogna credere? Fra dieci anni forse lo sapremo. Forse dopo un immenso numero di morti.

    La “Comunità internazionale” denuncia, di questi tempi, che in Siria il Regime commette quotidianamente repressioni sanguinose. Quel governo nega. Alcuni osservatori internazionali gli danno ragione ma per la “Comunità internazionale” sono dei fessi o dei venduti. Se gli dessero torto diventerebbero probabilmente delle persone serie e oneste. E il mainstream giornalistico non ha dubbi, anche se riporta di norma notizie prese da un sito che le ha prese da un altro sito che le ha prese da un sito clandestino di oppositori che non possono rivelare la loro identità… Proprio come è avvenuto in Irak e in Libia: chi afferma che le questioni sono più complesse diventa un venduto ai dittatori. Che rimangono esecrabili dittatori, ma non per questo su tutto devono per forza mentire… ( invece i dittatori che, chissà per quale motivo, alla “comunità internazionale” vanno bene diventano portatori di verità).

    Bisognerebbe sempre dubitare delle pretese “Verità” spacciate da chiunque, dai “buoni” come dai “cattivi”, perché spesso chi sono i buoni e chi i cattivi verrà deciso dopo, in base a chi ha vinto.

    Insomma, le menzogne fanno parte della Storia (  ma si ricordano soltanto quelle dei vinti ).

    Lezioni inutili della Storia (I)

    December 5th, 2011 § Comments Off § permalink

    Imperium abhorret a vacuo.

    Il Potere rifiuta il vuoto. Se te ne dimentichi sei un illuso. Un ingenuo.

    Si inventano le tecniche agricole e sorgono gli imperi idraulici.

    Si impara a navigare e si affermano le talassocrazie.

    Si esplorano nuovi mondi e il colonialismo li conquista.

    Si scopre come volare e si affinano prima le tecniche del bombardamento a tappeto, poi quelle “intelligenti”.

    Si colonizza l’etere e si spiano le comunicazioni a distanza di tutto il mondo.

    Si tesse la Rete e la si traveste in modo tale che la maggior parte delle persone spontaneamente, liberamente, distrugga la sua privacy negli archivi digitali dei servizi segreti o non segreti…

    In altre parole, se la tecnologia o la scienza creano nuove possibili dimensioni all’attività umana, le “classi dominanti”  fanno di tutto per conquistarle. A volte ci riescono completamente, a volte no. Ma pensare che non si diano da fare per impadronirsene, ecco, questa è una illusione. Una ingenuità.

    Cinici e creduloni

    May 13th, 2011 § Comments Off § permalink

    Terremoti e morti viventi

    A parere di un noto giornalista, molti di quelli che nei giorni scorsi sono fuggiti da Roma per la paura di un incombente ipotetico terremoto, nonostante le rassicurazioni di illustri geologi, sarebbero convinti che Bin Laden è vivo. E per argomentare questa sua intuizione, su cui sarebbe disposto a scommettere, spiega che ormai, per difenderci da “un eccesso di messaggi seduttivi, viviamo immersi in una brodaglia di cinismo… Il mondo pullula di dietrologi, di teorici della cospirazione e più banalmente di poveri cristi che non si fidano delle religioni, delle istituzioni e nemmeno dei congiunti, non sempre a torto”. Ma, al contempo, l’insopprimibile bisogno di credere spinge gli esseri umani “a spalancare il cuore a chi sappia bussare alla loro porta con l’aureola del cane sciolto o del perseguitato per vendere sogni e paure”.

    http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/hrubrica.asp?ID_blog=41

    Dunque una parte consistente degli esseri umani è caratterizzata, inevitabilmente, da cinismo e al contempo da creduloneria. Altri, invece, probabilmente per qualche particolare dote costitutiva, sanno riconoscere il vero dal falso e non sono né cinici né creduloni.

    Un’intuizione suggestiva, dunque, anche se molto fragile. In Abruzzo il pericolo di un terremoto venne negato da illustri specialisti più per convenienza politico-accademica che per convinzione scientifica. Le centrali nucleari in Giappone sono state dichiarate a prova di terremoto da esperti di grande autorità ( e quanti anche in Italia ne erano assolutamente certi ). Vaste categorie professionali vivono vendendo rassicurazioni a paure artificiali che loro stessi hanno creato il giorno prima. Bin Laden sarà anche morto ma i racconti ufficiali della sua fine e di tutto ciò che vi sta attorno appaiono scombinati dal principio alla fine e, con il passare del tempo, peggiorano con integrazioni narrative di strumentale stupidità invece di risultare più via via coerenti.

    http://blog.ilmanifesto.it/losangelista/2011/05/10/la-barba-di-priapo/comment-page-1/#comment-218

    Insomma, la questione è più complicata. Come si fa a stabilire chi è cinico e chi è credulone? Bisognerebbe sapere con certezza che cosa è vero e che cosa è falso. Di certo, il cinismo e l’incredulità ( non la credulità…) si diffondono quando i creatori di grandi rappresentazioni collettive della realtà ( politici, scienziati, esperti di economia ecc.) non sono più credibili perché sospettabili di essere disonesti, improvvisatori e approfittatori: in sostanza, non si sa se raccontano balle, ma di certo appaiono inaffidabili. E al cinismo e alla incredulità contribuisce il fatto che molti giornalisti, invece di mettere sotto pressione quelle pubbliche narrazioni tanto spesso truffaldine, le alimentano e ne traggono profitto senza spirito critico, senza dignità, senza serietà ( pensando magari, tra sé e sé, che sono costretti a comportarsi così perché i propri lettori, troppo cinici e insieme troppo creduloni, desiderano non storie “vere” ma storie “forti”… ).

     

     

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