False notizie, false flags, blogger e uffici stampa ingannatori: i filtri e le verifiche nel giornalismo.

February 13th, 2017 § Comments Off § permalink

Mio intervento introduttivo al convegno per giornalisti tenutosi allo IULM di Milano il 10 febbraio 2017

“… L’idea di questo incontro è nata circa quattro mesi fa. Già allora mi sembrava interessante riflettere sul piano teorico e deontologico della tematica del conflitto in atto tra fronti contrapposti di attori dell’informazione, da una parte quello che sembra far capo al tradizionale Main Stream Media e dall’altra quello invece emergente nel mondo Internet. Un conflitto nel quale da tempo venivano scambiate accuse reciproche di produrre fake news e fake stories. In italiano siamo più sbrigativi e il termine che veniva e ancora viene prevalentemente è quello unificante e dall’etimologia vetero-contadina di bufale.

Ma in questi quattro mesi – e soprattutto dopo l’elezione di Trump – la contrapposizione tra questi due schieramenti (che ovviamente non sono così compatti) è andata approfondendosi. Sono emersi nel frattempo i concetti di post-truth e di alternative-truth su cui magari potremo tornare. Il MSM accusa molti siti Internet di menzogne sistematiche a fini economici o politici, di essere al servizio di interessi occulti, immorali, stranieri, inconfessabili, scopi cinici e truffaldini che disorienterebbero e confonderebbero l’opinione pubblica. Da canto loro non pochi siti di informazione “alternativa” e osservatori esterni ribattono che il MSM nel suo complesso non obbedisce più al suo ruolo istituzionale – che dovrebbe essere quello di una articolata e pluralistica attività informativa – ma sopravvive al solo scopo di servire élite varie (nazionali e internazionali) e di coprire con un manto di falsità sostanziale (dunque non piccole falsità ma colossali falsità) il disagio pubblico, l’emergere di una ribellione sociale, il giusto contraddittorio di idee ecc. E per questo tradimento, o soprattutto per questo, starebbe subendo un giusto tracollo di vendite e ascolti.

Insomma, ognuno dei due schieramenti (inizialmente sfrangiati ma che si stanno compattando, entrambi non privi di cosiddetti infiltrati, di quinte colonne, di whistleblower ecc. – c’è davvero di tutto…) accusa l’altro di essere spesso non “degno” della sua funzione sociale e di minare alla base la democrazia perché una libera informazione è alla base di una democrazia sostanziale. Accuse radicali e oggettivamente preoccupanti perché il sistema informativo non serve soltanto a realizzare un affresco del presente e del passato ma soprattutto a legittimare o delegittimare scelte future: le battaglie nell’informazione appaiono spesso come le grandi manovre prima delle guerre reali o degli interventi legislativi più decisi.

Mi sembra però che in questi quattro mesi non ci sia stato soltanto un ampliarsi e un radicalizzarsi dello scontro (ormai gli interventi sulla questione sembrano diventati una alluvione quotidiana) ma si sia verificato anche un salto di qualità. E’ comparsa infatti l’idea di censura. Un’idea non soltanto teorizzata ma ormai da qualcuno inizialmente praticata nel concreto di far tacere gli altri, di tagliargli le gambe. Una censura teorizzata apertamente da politici e organi istituzionali ma sotterraneamente sempre più attivata da gruppi che si autorappresentano come controllori della salute pubblica intellettuale. Con la motivazione di combattere il falso e l’odio in rete (che pure appare un problema ben diverso da quello del falso) costoro si stanno sedendo su un trono di Verità per ostacolare, per delegittimare e sabotare organi di informazione contrapposti. In questa strategia al momento sembrano particolarmente attivi alcuni settori del MSM che, alleati con ambienti politico-economici, o alle loro dipendenze, si sono messi a sparare con i grossi calibri. Attualmente esiste un’asimmetria di forze per cui il fronte opposto agisce soprattutto con tattiche di guerriglia peraltro non indolori. L’evoluzione del conflitto appare tutta da decifrare. Attendiamoci presto molte sorprese.

In ogni caso stiamo assistendo alle prime mosse di un’autentica guerra condotta da settori apparentemente inaspettati e con i travestimenti più legalitari.

Voglio ringraziare ovviamente l’OdG Milano che ha reso possibile questo incontro e tutti i relatori presenti che hanno gentilmente accettato il mio invito in cambio di niente. O meglio, in cambio soltanto della possibilità di portare un contributo a un dibattito collettivo etico e deontologico che a me sembra fondamentale.

Sono persone credo con approcci culturali e ideali differenti – non ci sono state particolari indagini – ma unite tutte dalla convinzione della necessità di una riflessione vera, profonda, aperta, non finta su questi problemi.

Penso che da loro potremo aspettarci considerazioni più profonde e sensate di quelle dei tanti ragazzini informatici – ragazzini di età o di testa – che purtroppo capita di sentire in convegni o leggere su certa stampa i quali spiegano quanto sia facile scoprire le “bufale” utilizzando qualche sito appena creato in California chissà da chi, e lo fanno parlando con un’ingenuità e superficialità (consideriamole tali) degne dell’estasi tecnofila per un nuovo modello di Iphone. Sulla capacità di disinformazione di questi tecnofili, più o meno voluta e cosciente, sembrano poggiarsi tanti progetti di censura digitale.

Questo convegno inizialmente aveva inizialmente nel titolo un riferimento a Rashomon, uno dei film-capolavoro di Kurosawa. La storia narrata parte da un tempio in rovina. Diluvia. Un monaco e un boscaiolo sembrano aspettare al riparo di un tetto rotto che smetta di piovere. Ma appaiono sconvolti. Sopraggiunge un viandante mezzo ladro. E i due iniziano a raccontare il motivo del loro turbamento. Il viandante-ladro li ascolta. Narrano di aver assistito al processo per l’omicidio di un samurai e la violenza carnale alla moglie del samurai da parte di un brigante presto catturato. Durante il processo tutte le versioni testimoniali dei protagonisti sono sostanzialmente diverse, quella del brigante, quella del moglie del samurai e quella… del samurai, che parla dall’oltretomba attraverso un medium. Chi ha detto la verità? O non l’ha detta nessuno? Oltretutto emerge che anche il boscaiolo ha assistito ai fatti e a sua volta il suo racconto forse è falso perché dopo l’omicidio ha rubato un prezioso pugnale del samurai…

Il film si conclude senza che noi spettatori si possa sapere chi dei quattro ha detto la verità. Non possiamo saperla perché nessuno l’ha detta, o forse qualcuno l’ha detta ma non sappiamo chi sia stato. La nostra condizione di spettatori del film diventa metafora della classica condizione umana del rapporto con il mistero della realtà e del suo caos. Perché di fatto la realtà attorno a noi non è ordinata. E’ conoscibile forse a frammenti sempre approssimativi e transitori, e chi ce la vuole raccontare ce la presenta spesso in modo strumentale e confuso. La realtà è plurima, e la sua sostanza sta nelle mille varianti della sua rappresentazione. Così la fatica del vivere è proprio nel cercare una rotta per rapportarsi a una realtà sfuggente per cercare di conoscerla per quanto è possibile, per rendercela sopportabile e percorribile – i costruttivisti dicono viabile .

In certe fasi storiche, poi, la realtà sembra diventare ancor più caotica, apparentemente contraddittoria e insensata, difficile da comprendere. Questo accade perché i nostri strumenti di comprensione – già mediocri ma comunque tarati su metri di misura precedenti, collegati al passato – diventano ancor più imprecisi, contraddittori e confusi. Ci si sente smarriti per la perdita degli abituali punti di riferimento, di costellazioni nella notte. Si tratta di una condizione particolarmente difficile quando, come oggi, il cielo è pieno di nuvole. Ci troviamo in un panorama di rovine già presenti o di edifici che stanno crollando (a voi scegliere quali priorità dar loro). Di fatto:

    • Alcune istituzioni si stanno letteralmente sfarinando.
    • Grandi certezze geopolitiche ed economiche narrate come definitive si stanno disfacendo.
    • Le bussole ideologiche appaiono sempre private dell’ago magnetico.
    • La crisi economica erode i rapporti sociali, li sclerotizza, ne radicalizza la contrapposizione.
    • I soldi sono sempre meno e sempre peggio distribuiti.
    • I ruoli e i riti professionali sono in crisi sotto la spinta eversiva di nuove tecnologie.

Questa condizione di smarrimento dei riferimenti ovviamente condiziona anche gli operatori dell’informazione.

Cosa sta accadendo ai giornalisti? Si tratta di una professione in crisi identitaria. Per molti è un’identità sempre più povera, assediata dalla precarietà, priva spesso di protezioni a meno che non ci sia un fedele arruolamento sotto gerarchie istituzionali forti. Tanti giornalisti, in un mercato dell’informazione sempre più affollato e tempestoso, sentono di aver perso il monopolio della materia prima con cui lavoravano: la notizia. Il pubblico, grazie alle nuove tecnologie, può arrivare ad essa prima e spesso meglio, con identica o maggior precisione, diversificando a piacere le fonti. Qualcuno, a bordo delle corazzate mainstream, nel mezzo di questa tempesta ha la speranza che queste siano inaffondabili ma spesso paga questa condizione di apparente sicurezza con il dover indossare una divisa o il dover sopportare le pressioni dei mille interessi trasversali che calano dai vertici. E comunque la sindrome Yamamoto (o la variante della sindrome della rana bollita) è dietro l’angolo.

Quale baricentro identitario rimane al giornalista in questa situazione?

Le norme non aiutano. La legge in Italia dice che per il giornalista è obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede.” art. 2 legge professionale 69/1963

Questa dovrebbe essere la bussola per esercitare “il diritto insopprimibile della libertà di informazione e critica” limitato soltanto “dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui”.

Qui nasce il problema colossale: che cos’è la verità sostanziale dei fatti? Probabilmente una mitologia. Simile o identica a quella dell’araba fenice. Sarebbe interessante analizzare questo concetto nelle sue componenti di verità, di sostanzialità e di fatto ma andremmo per le lunghe.

Al momento limitiamoci a dire che quando un giornalista afferma di stare alla verità sostanziale dei fatti – in un periodo storico in cui grandi agenzie di disinformazione sotterranea legate esplicitamente a lobby economiche e ideologiche, a interessi strategici, a settori militari, a servizi segreti parlano di questioni come “l’infiltrazione cognitiva”, le guerre della percezione, la comunicazione strategica – verrebbe voglia di iscriverlo a un corso-base di epistemologia.

A questo proposito citiamo un episodio ben noto.

Ron Suskind, un giornalista statunitense, racconta che nel 2004 Karl Rove, vice capo dello staff presidenziale di Bush, gli disse1, per tagliar corto a una serie di sue domande insistenti:Ora noi siamo un impero e quando agiamo, creiamo la nostra realtà. E mentre voi state giudiziosamente analizzando quella realtà, noi agiremo di nuovo e ne creeremo un’altra e poi un’altra ancora che potrete studiare. È così che andranno le cose. Noi facciamo la storia e a voi, a tutti voi, non resterà altro da fare che studiare ciò che facciamo”. I termini dello scambio dialettico furono poi negati da Rove e poi ribaditi da Suskind ma comunque descrivono bene in quale universo di finzioni ci troviamo.

E poi quanto citiamo ha scritto nel 2007 Cass Sunstein2, marito di Samantha Power, ex-ambasciatrice Usa all’ONU di Obama e lui stesso consigliere di Obama: “Gli agenti del governo (e i loro alleati) possono di entrare nelle chat rooms, nei social networks online o anche nei gruppi effettivamente reali con l’obiettivo di minare le teorie cospirative che filtrano sollecitando dubbi sulle loro premesse fattuali, logiche causali o implicazioni per un’azione politica… Il nostro principale suggerimento politico è che il governo si impegni nella infiltrazione cognitiva dei gruppi che producono teorie cospirative”. Questo – dice Sunstein – può essere fatto costruendo argomentazioni che discreditino tali teorie cospirative e ingaggiando gruppi privati che si impegnino nel counterspeech.

Un caso ormai esemplare, paradossale e ben chiarito si trova in rete alla voce blogger lesbica siriana

Ormai vengono creati falsi demos (utilizzando la parola demo nell’accezione di “corrente di opinioni” espressione di una volontà popolare) per costruire agende setting su cui attivare i giornalisti (Assange cita il caso del Barhein nel 2011). Questo viene fatto anche attraverso flussi di tweet robotizzati. Falsi demos per contrastare o inquinare veri demos. E come non accorgersi del sistematico uso dei troll che demolisce in pochi attimi qualsiasi discussione seria?

Dunque probabilmente il giornalismo è orfano (lo è sempre stato, ma ora più di prima) della verità sostanziale dei fatti.

Ma c’è gente convinta di averla questa verità. Quelli che stanno spingendo per la censura si rappresentano, come detto, quali vestali del Vero. Loro sanno cos’è la Verità e gli è facile e semplice e rapido scoprire il Falso.

Queste vestali della Verità sono unite dal considerare gli utenti del sistema informativo come degli influenzabili psicolabili che vanno difesi. Degli elettori senza cervello che hanno votato e voteranno con la pancia perché travolti dalle emozioni. Degli smarriti che danno ascolto alle sirene e ai pifferai: ecco la post-truth. Per questo bisogna proteggerli. Proteggere i ragazzini dai bulli in rete e gli adulti dai disinformatori. Bisogna proteggere le masse. Ci vuole una censura etica fatta da persone illuminate. Ci vuole chi contrasti la falsità con la Verità. Discorsi che sembrano così vecchi…

Ed ecco che nascono i siti antibufale presentati come liberi ed etici e non finanziati da qualcuno nell’ombra. Siti che magari hanno come testimonial Totti, Fiorello e Gianni Morandi. O siti come Propornot che denuncia 200 siti “nemici”, che giustifica l’anonimato dei propri autori con il fatto di “poter correre dei rischi” e viene comunque promosso dal Washington Post come altamente commendevole (salvo poi improvvise retromarce).

Ecco che sorgono gli appelli all’intervento pubblico normativo per forme censorie istituzionali, magari a Bruxelles visto che le istituzioni comunitarie sono tanto attendibili e popolari.

Ecco che un’alta cariche istituzionali che invocano la lotta alle bufale su siti ben noti per aver raccontato una probabile colossale bufala.

Ecco che si propongono campagne di “verità” nelle scuole e per i giovani.

Ecco che si creano pool di asseveratori che in un reticolo e supportandosi gli uni con gli altri decidono quali siti siano spacciatori di falsità e quali no. Per esempio Poynter o Correctiv o il sito di Le Monde.

Ecco che si minacciano provider e social network di multe salatissime se diffondono notizie false.

Ecco che i quartieri generali dei socialnetwork, collocati nell’iperspazio, passano all’azione delegittimando o contrastando siti che qualcuno avrebbe denunciato come spacciatori di falsità oppure che sono stati identificati da algoritmi investigatori. Dopo di che i loro responsabili verranno identificati, profilati e bloccati per sempre: la censura automatica a vita.

In particolare questa storia degli algoritmi matematici progettati da giovanotti in California è interessante: riducendo il mondo a un ologramma digitale loro riusciranno a identificare i bit di falsità e a incenerirli. Pensate a tutti i filosofi della storia dell’umanità, seduti qui davanti, Platone per primo con il suo mito della caverna e le ombre, che si disperano per essere stati tanto fessi da non aver capito che per scoprire la verità basta trovare la formula algebrica corretta…

Ancora pochi minuti per una questione forse fondamentale

Bisogna tagliare il nodo gordiano concettuale che sta nella parola bufale. Ci sono delle bufale che sono gravi e bufale che non sono gravi.

Le bufale-notizie queste sono quasi sempre banali, inessenziali e della durata di un mattino. La stessa alta carica istituzionale già citata pare si sia è dolorosamente lamentata perché qualcuno avrebbe detto che essa auspicherebbe una tassa sulla carne di maiali e l’obbligatorietà del burka per tutte le donne. Quanto durano queste bufale? Sono così devastanti? Si distrugge così una carriera politica?

Se uno di noi scrive nel suo sito che gli scienziati hanno scoperto che i terremoti sono colpa di un grande Puffo dei terremoti al centro della Terra (qualche tempo fa è stata detta non sul serio ma per gioco e non in rete, per fortuna) per quanto tempo gli si dà credito? Davvero è un attacco che disorienta l’opinione pubblica? O la Protezione civile, l’Ordine dei Geologi e la comunità dei Puffi devono preoccuparsi sul serio?

Poi ci sono bufale-storie. Queste sì che possono essere devastanti. Quelle che godono di una potenza di fuoco concentrica. Che sono talmente grosse che ci vogliono settimane per andare a verificarle e quando le hai verificate tutti stanno parlando di storie nuove. Che calano dall’alto e vengono reiterate a catena, in modo transmediale, in un gioco di specchi tra mainstream e socialnetwork più o meno autentici. Che verniciano di attendibilità testimonianze che riportano voci che riportano impressioni che riportano ipotesi. Quelle che vengono replicate da organi in giro per il mondo che si asseverano a vicenda. Quelle che mirano ad ammutolire e marginalizzare chiunque le metta in discussione inducendolo al silenzio.3

Queste bufale-storie sono più difficili da combattere e sono spesso emanazione di poteri visibili o invisibili.

Per svelarne la falsità ci vogliono delle controstorie alternative, trasversali, minoritarie. Ci vuole pensiero critico. Ci vuole dubbio. Ci voglio ipotesi alternative. Ma se arriva subito la censura a troncare qualunque pensiero divergente addio alle controstorie. E così poi ci pensa la realtà a smentirle, ma magari avviene troppo tardi, quando inizierà a diffondersi la rabbia per i troppi tradimenti subiti.

In conclusione i veri pericoli vengono dalle falsità del potere. I veri disastri sono causati dalle grandi menzogne dichiarate inoppugnabili, da quelle dei lupi che si travestono da pecore. E se – come certuni dicono – il sistema dei media sta crollando nella sua credibilità, questo avviene forse perché coloro che dovrebbero essere almeno un po’ al servizio del cittadino – una volta lo si definiva il quarto potere – si mostra non più di luogo di contrapposizione di visioni del mondo ma invece semplice servo del potere, dei poteri manifesti e di quelli sotterranei.

Fermiamoci qui anche le osservazioni da fare sono ancora moltissime. Pochi secondi per una considerazione finale. Nel film Rashomon forse una vera verità c’è. Non quella dei testimoni ma quella del regista: la metastoria non del delitto ma delle sue molteplici versioni. La sua verità è infatti indiscutibile perché ha raccontato onestamente tutte le verità parziali. E’ un insegnamento per ogni giornalista: quando racconti una verità sola sei nel falso; ma quando racconti il conflitto tra le verità contrapposte forse stai avvicinandoti al vero. Forse…

1“We’re an empire now, and when we act, we create our own reality. And while you’re studying that reality — judiciously, as you will — we’ll act again, creating other new realities, which you can study too, and that’s how things will sort out. We’re history’s actors . . . and you, all of you, will be left to just study what we do.”

2Government agents (and their allies) might enter chat rooms, online social networks, or even real-space groups and attempt to undermine percolating conspiracy theories by raising doubts about their factual premises, causal logic or implications for political action”

“We can readily imagine a series of possible responses. (1) Government might ban conspiracy theorizing. (2) Government might impose some kind of tax, financial or otherwise, on those who disseminate such theories. (3) Government might itself engage in counterspeech, marshaling arguments to discredit conspiracy theories. (4) Government might formally hire credible private parties to engage in counterspeech. (5) Government might engage in informal communication with such parties, encouraging them to help.” However, the authors advocate that each “instrument has a distinctive set of potential effects, or costs and benefits, and each will have a place under imaginable conditions. However, our main policy idea is that government should engage in cognitive infiltration of the groups that produce conspiracy theories, which involves a mix of (3), (4) and (5).”

Sunstein and Vermeule also analyze the practice of recruiting “nongovernmental officials”; they suggest that “government can supply these independent experts with information and perhaps prod them into action from behind the scenes,” further warning that “too close a connection will be self-defeating if it is exposed.” Sunstein and Vermeule argue that the practice of enlisting non-government officials, “might ensure that credible independent experts offer the rebuttal, rather than government officials themselves. There is a tradeoff between credibility and control, however. The price of credibility is that government cannot be seen to control the independent experts.”

3Qualche esempio:

    - il trickle down o teoria dello sgocciolamento;
    - l’Euro come moneta del Bengodi ;
    - la globalizzazione come nuova età dell’oro universale ovunque e dovunque;
    - le guerre umanitarie che portavano ovunque l’umanità afflitta nel Terzo Mondo;
    - la corruzione come unico esclusivo male dell’economia e unica ragione del debito pubblico;
    - lo spacciare l’innovazione tecnologica come soluzione di ogni problema sociale;
    - il rappresentare le start-up da fondare in giro per il mondo come rimedio principale ed entusiasmante alla disoccupazione giovanile;
    - lo stato sociale come palla al piede per un Paese dinamico.Posto che queste storie sono false, come si dimostra che sono false se non con delle contronarrazioni più solide, legittime, oneste e realistiche?

    Eccomi di nuovo…

    January 17th, 2014 § Comments Off § permalink

    Finalmente…

    Finalmente riapro questa mia pagina (da lungo tempo ahimè trascurata) per segnalare l’uscita di un mio nuovo testo, scritto con Maurizio Matrone, Narrativa d’Impresa – Per essere ed essere visti (Franco Angeli Ed.). Prossimamente scriverò qualche nota a riguardo.

    Del libro si parlerà comunque in un prossimo incontro – dal titolo Le metamorfosi del narrare: tra cultura del progetto e multimedia – con alcune delle persone che hanno partecipato al progetto: Giampiero Comolli (scrittore e saggista studioso di spiritualità e religioni) Maurizio Matrone (scrittore e formatore d’azienda) Massimo Tafi (esperto di Pubbliche Relazioni e consulente politico). Sarà presente, per un saluto istituzionale, la prof.a Marisa Galbiati.
    L’appuntamento è per giovedì 23 gennaio, 2014 alle 14.30, nell’aula CT60 del Campus Durando del Politecnico di Milano, via Durando 10, edificio 8.

     

    Dagli all’untore!

    March 27th, 2012 § 0 comments § permalink

    Capri espiatori contemporanei.

    Il meccanismo sociale attraverso il quale, nei secoli, innumerevoli comunità umane hanno costruito un capro espiatorio su cui rovesciare rabbie e paure è ben noto. Qualcuno ( a volte completamente innocente, a volte colpevole ma per colpe molto più banali ) per un insieme di circostanze – occasionali o ben volute dal Potere – diventa agli occhi della maggioranza il responsabile di tutta una serie di drammi, disastri, tragedie, crimini. Vi è una funzione “sfogatoria” in questo suo ruolo: un gruppo sociale non riesce “strutturalmente” a difendersi da una minaccia o da un pericolo e tutta quell’angoscia si riversa, ben guidata da gruppi interessati, su qualcuno da sacrificare. Da punire. Da maledire. Da fare a pezzi. Da distruggere. Un tempo i capri espiatori erano gli eretici, gli untori, i dissacratori dei “supremi valori”; ma anche interi popoli, etnie, gruppi politici. E i roghi, gli smembramenti, le impiccagioni erano grandi spettacoli pubblici molto popolari che concludevano narrazioni orrende e tenebrose.

    Nella seconda metà del Novecento parve, quanto meno nel mondo sviluppato, che questo meccanismo venisse utilizzato in misura minore. Il conflitto della Guerra Fredda sembrava portare soprattutto su un livello politico, forse molto sanguinoso ma meno irrazionale, la ricerca del “colpevole” dei guai generali. In ogni caso, alle costruzioni di capri espiatori importanti settori della società reagivano criticamente.

    Da una ventina di anni invece sta tornando ad essere un format fondamentale delle grandi narrazioni sociali. Ogni giorno qualcuno, ormai, porta la colpa dei malesseri delle “invasioni di locuste” contemporanee  o delle improvvise moderne pestilenze. Se questo qualcuno non ha una sufficiente forza o non gode di sufficienti protezioni per opporsi alla stigmatizzazione dei media o delle istituzione del Potere, ebbene, costui non ha speranza, la Colonna Infame è già pronta per lui ( o per loro ).

    Negli ultimi anni Rom, Romeni, Albanesi, lavavetri, Vu Cumpra’, clandestini, mussulmani sono stati via via i capri espiatori ai disastri del potere politico e delle sue ruberie. Il Potere ti ha continuato a dire di guardare in basso – e di vedere in loro le cause dei disastri sociali, della violenza, della ingiustizia – e mai in alto, nelle classi dirigenti corrotte e violente. E soltanto gruppi ristretti della società cercavano di opporsi a queste narrazioni che, basandosi spesso su dati parziali o inessenziali, indicava di volta in volta “mostri” da schiacciare ( e spesso venivano schiacciati per davvero ).

    Ma ormai la “domanda sociale di capri espiatori”, alimentata da un malessere che appare irreversibile e ben nutrita dalle classi dirigenti, risulta insaziabile. E tanto più le aree di crisi si diffondono e si articolano, tanto più l’offerta di capri espiatori si deve specializzare. Al disastro delle infrastrutture si risponde con la criminalizzazione dei No Tav; alla crescita degli squilibri sociali si replica con la carcerazione di massa ( un problema di tutto l’Occidente: i detenuti si sono moltiplicati per tre-quattro volte con meno reati ); all’insicurezza pubblica con la creazione di nemici lontani da fare a pezzi; alla bancarotta economica con la stigmatizzazione dell’egoismo sociale (!) dei pensionati o dei lavoratori dipendenti.

    La costruzione del “mostro” Brega Massone sembra, per molti aspetti, ripercorrere le stesse millenarie regole. Per salvare quello che potrebbe apparire un sistema sanitario strutturalmente malato si costruisce, con maggiore o minore lucidità e coscienza, una grande orrorifica narrazione che identifica un “infame” sulla cui mostruosità deviare la rabbia generale ( e a questa operazione sembrano partecipare in molti, a volte forse con consapevolezza ma più spesso con semplice disattenzione, ingenuità, abitudine professionale, subalternità a strutturazioni ideologiche collettive, malinteso e decontestualizzato senso etico ). Per saperne di più – e giudicare davvero con la propria testa, fuori dalle deformazioni mediatiche – val la pena di ascoltare il processo su Radio Radicale  - http://www.radioradicale.it/searchx/www?scope=1&query=brega%20massone&groups=22,21,24 - e leggere il libro edito da Paginauno di Giovanna Cracco e Giovanna Baer –  http://www.edizionipaginauno.it/santa-rita-brega-massone-giovanna-cracco-baer.php ).

    Noi dobbiamo accettare l’idea di vivere ancora – o di nuovo – immersi in narrazioni criminalizzanti, spesso costruite con abilità, a volte straordinariamente rozze, proprio come al tempo della caccia alle streghe o agli untori. Narrazioni di cui si perde, nell’inflazione informativa, il filo logico e delle quali non si riesce più a identificare gli autori. E per questo, per difendere il vero “bene pubblico”, dobbiamo sempre cercare di smontarle là dove sono infondate, rimanendo costantemente animati da un forte spirito critico.

    Lezioni inutili della Storia (I)

    December 5th, 2011 § Comments Off § permalink

    Imperium abhorret a vacuo.

    Il Potere rifiuta il vuoto. Se te ne dimentichi sei un illuso. Un ingenuo.

    Si inventano le tecniche agricole e sorgono gli imperi idraulici.

    Si impara a navigare e si affermano le talassocrazie.

    Si esplorano nuovi mondi e il colonialismo li conquista.

    Si scopre come volare e si affinano prima le tecniche del bombardamento a tappeto, poi quelle “intelligenti”.

    Si colonizza l’etere e si spiano le comunicazioni a distanza di tutto il mondo.

    Si tesse la Rete e la si traveste in modo tale che la maggior parte delle persone spontaneamente, liberamente, distrugga la sua privacy negli archivi digitali dei servizi segreti o non segreti…

    In altre parole, se la tecnologia o la scienza creano nuove possibili dimensioni all’attività umana, le “classi dominanti”  fanno di tutto per conquistarle. A volte ci riescono completamente, a volte no. Ma pensare che non si diano da fare per impadronirsene, ecco, questa è una illusione. Una ingenuità.

    Nove giorni e mezzo

    June 21st, 2011 § 1 comment § permalink

    La scomparsa della fabula

    Alla Cineteca di Bologna per nove giorni e qualche ora hanno programmato il film “The Tree of Life” di Terrence Malick invertendo il primo e il secondo rullo del film. Un comunicato firmato dai dirigenti della Cineteca – Giuseppe Bertolucci, presidente, e Gian Luca Farinelli, direttore – recita in modo pesantemente e sinceramente autocritico che si è trattato di un “episodio, in sé mortificante e gravissimo, che non ha giustificazioni” e porge le sue scuse alle centinaia di persone alle quali si è offerto “un falso d’autore”.

    Non sono d’accordo con loro. Per me, francamente, in quanto è avvenuto non c’è niente di male. Anzi.

    Il fatto che nessuno, tra le centinaia di spettatori, se ne sia accorto e abbia protestato può avere tante spiegazioni. Per esempio che il film sia stato visto da tutti con estrema distrazione, o che nessuno ci abbia capito niente, o che forse era più bello così, o che la coerenza della fabula non aveva alcuna importanza.

    Ricordo di aver visto, trent’anni fa, in un’arena estiva al centro del Peloponneso, quattro film ( quattro !) di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia non doppiati e montati insieme in modo delirante da un proiezionista locale ricavandoli da vecchie pizze trovate in un magazzino: ebbene, il pubblico greco si sganasciava dalle risa. Il fatto che la storia fosse assolutamente incomprensibile per chiunque moltiplicava l’effetto demenziale ed euforizzante delle gag.

    In un altro post ( Prima, durante e dopo Gutemberg ) riflettevo sulla tendenziale scomparsa, nell’universo narrativo in tempo reale del presente dei mass-media, della parabola narrativa, persa in un flusso senza posa. E scrivevo che, in quanto multimedialità ancora in era Gutemberg, il cinema continuava a mantenerla. Forse mi sbagliavo, forse anche nel cinema la fabula ( intesa come successione temporale coerente di eventi collegati da un nesso causale più o meno percepibile ) sta iniziando a dissolversi. Ormai non serve, bastano i mondi narrativi senza fabula. E se non l’hanno capito gli autori magari l’ha già capito il pubblico, specie quello raffinato di una cineteca.

    In sostanza, Bertolucci e Farinelli forse non dovrebbero scusarsi ma essere fieri dell’incidente e delle capacità del loro pubblico, irridendo quella mitologia della sacralità dell’opera frutto del genio di un Autore che, con sforzo titanico, crea un’Opera compiuta e perfetta che nessuno può permettersi di “disordinare”. Roba vecchia, ormai…

    Cineteca di Bologna

     

    Standard & Poor’s, Moody’s e altre narrazioni.

    June 14th, 2011 § Comments Off § permalink

    I dubbi fanno bene

    Provate ad affermare in pubblico che non esiste una realtà oggettiva. O, per meglio dire, che nessuno può sapere con certezza che cosa sia la realtà ( o che cosa siano “i fatti”) e che quindi noi, di essa, possiamo costruirci soltanto delle rappresentazioni mentali. Molto spesso qualcuno si alza un po’ sorpreso e un po’ insofferente. Indica un oggetto vicino a lui, magari una sedia, e sbotta “Ma quella sedia esiste o no?” Ovviamente gli si risponde di sì. E allora lui prosegue: “Dunque se esiste è reale, e se quella sedia è reale questo vuol dire che esiste una realtà oggettiva. Tutto il resto sono sofisticherie…”

    A parte la considerazione riduttiva che la sedia potrebbe essere uno scranno o uno sgabello ( ma queste sono questioni linguistiche…) nella vita quotidiana ci è abbastanza facile verificare con continuità l’adeguatezza delle nostre rappresentazioni mentali. Finché possiamo continuare a sederci su quella “cosa” che chiamiamo sedia la continueremo a chiamare sedia. Ma dal momento in cui non sarà più possibile sedervicisi sopra essa smetterà di essere una sedia: insomma, il suo essere oggettivamente una sedia dipende dalla nostra esperienza soggettiva nel poterla continuare a usare come tale. La soggettività si affermerà poi prepotentemente nel poterla definire morbida o dura, leggera o pesante, comoda o scomoda… E in ogni caso, meglio controllare che una sedia sia ancora al suo posto prima di sedersi.

    Appena però ci allontaniamo dalla vita quotidiana e immediatamente riscontrabile con verifiche pratiche tutto si fa immensamente più complicato. Per esempio, il fatto che la Grecia stia per fallire è reale o no? Chi lo dice? Chi è in grado di sedersi sopra la “sedia greca” e dire: “Sì, confermo che è una sedia greca” oppure “No, non è una sedia greca”?

    Che la Grecia stia per fallire lo affermano le agenzie di rating internazionale ( tutte nordamericane, tutte a due vie di distanza da grandi fondi di finanza derivata… ). Con toni oracolari costruiscono, per esempio, delle grandi rappresentazioni convergenti di un Paese al tracollo e le diffondono con solerte continuità affermando che si limitano a raccontare “la realtà”. E ci spiegano che fanno tutto ciò per noi, per difendere i nostri soldi. Ebbene, sarebbe il caso di dubitare di queste “realtà” e considerarle soltanto narrazioni. Narrazioni costruite con furbizia, ovviamente, non da degli sciocchi. Non sono dei pazzi che si dedicano a dimostrare che la Luna è quadrata. No, scelgono chi è già debole e lo narrano con ricchezza di dettagli come moribondo. Chi dunque mai farà dei prestiti a un debitore probabilmente moribondo? Il moribondo dunque morirà. Sono le narrazioni che si autoasseverano. Narrazioni che, molto spesso, vogliono semplicemente deviare il corso del fiume per portare più acqua nel proprio campo. Anche se questo causerà una spaventosa siccità in quello del vicino. Ma siccome quello non può ribellarsi perché è più debole, peggio per lui…

    Insomma, il fiume c’è ma il suo corso è tutto da stabilire. E quando qualcuno ci parla di realtà e noi non possiamo toccarla con mano, meglio iniziare a nutrire qualche dubbio.

     

     

    Alterazioni spazio-sensoriali

    May 24th, 2011 § 0 comments § permalink

    Senza precedenti.

    Credo che l’alterazione spazio-sensoriale e temporale alla quale siamo sottoposti dalle nuove tecnologie non abbia precedenti nella storia dell’umanità.

    Niente del passato sembra paragonabile.

    Non, anticamente, la pur straordinaria comparsa delle arti figurative, che in ogni caso rientravano in una sfera ( simbolica o realistica ) di riproduzione antropomorfa o naturalistica ( una comparsa che, comunque, ha impiegato secoli per affermarsi ). Non le dimensioni sonore sempre nuove offerte da strumenti musicali di nuova creazione o da innovative strutture compositive. Non le riproducibilità apparentemente “oggettive” offerte in tempo quasi reale dalla fotografia nell’Ottocento. Non la cinematografia dapprima muta e in bianco e nero, poi sonora e a colori ma sempre confinata nel tempo e nello spazio a momenti non più lunghi di un paio d’ore. Non la radio, e neppure la televisione quando la scelta era limitata a pochi canali in orari definiti.

    Ora siamo immersi in un flusso continuo e totalizzante. Siamo sempre connessi a un altro da noi, lo stato di eccezione, nella quotidianità, non sta nella fruizione di narrazioni visive e sonore ma nella loro assenza. Siamo esposti a rappresentazioni più reali della realtà, iperreali, con livelli di definizione ineguagliabili da qualunque esperienza personale. Gli spettacoli a cui assistiamo sono totalizzanti non tanto per la loro carica emozionale sul piano psicologico ( accade, ma sempre più raramente ) quanto per la penetrante capacità di saturazione dei loro effetti speciali. Le immagini che fruiamo perennemente sono ormai tridimensionali e a corrente continua, con un’apparente infinita possibilità di scelta tra prodotti tendenzialmente analoghi.

    Ciò che risulta ancora collegato a un’esperienza corporea sopravvive, a livello collettivo, soltanto all’interno di grandi liturgie comunicative che vengono sistematicamente potenziate e promosse da ipernarrazioni collettive ( i campionati di calcio, gli show delle superstar, le apparizioni terrene delle nuove divinità del sistema delle stelle – vale a dire lo star system planetario ).

    Si dice che ogni cambio di mezzi di comunicazione determini, prima o poi, trasformazioni radicali: Gutemberg avrebbe portato alla rottura dell’universalismo cattolico, le gazzette della stampa alle rivoluzioni borghesi, i mezzi di comunicazione di massa ai totalitarismi ( sia quelli sconfitti sia quelli vincenti…). Alcune di queste trasformazioni avrebbero messo in discussione la concentrazione del potere, altre l’avrebbero favorita.

    E adesso cosa accadrà? Chi trarrà giovamento da questa saturazione? Si salverà l’articolazione sociale? Sopravviveranno le minoranze oppure devono omologarsi o sparire? Avremo “uomini nuovi” perfettamente modellati da ideologie uniche e pervasive? Qui forse siamo ben oltre al consumo materiale: ormai consumiamo narrazioni a velocità ipersonica…

    P.S. Nei prossimi giorni il post con la terza puntata di Narrazioni e Verità, particolarmente impegnativa ma anche di notevole interesse.

     

    Narrazioni e verità (I)

    May 23rd, 2011 § Comments Off § permalink

    Noi non viviamo nella realtà.

    O meglio, noi viviamo immersi in un “altro da noi” che non possiamo definire né conoscere.

    Nessuno di noi, infatti, può illudersi di conoscere la realtà. O forse sì, ma soltanto quando il nostro rapporto con essa non cerca di oltrepassare quel velo sottilissimo dell’esperienza quotidiana. Se invece vogliamo andare oltre, nello spazio e nel tempo, appena cerchiamo di superare quel bozzolo che ci avvolge, ogni certezza si dissolve. Quale che sia il modo con il quale procediamo e gli strumenti con i quali laceriamo quella immediata placenta sensoriale che ci avvolge, subito la realtà ( ah, la “realtà vera”!) diventa sostanzialmente inconoscibile. Ne possiamo raccogliere forse qualche frammento, particelle sparse, brandelli irregolari che presto svaniscono come sogni o chimere.

    Al contrario noi viviamo immersi in rappresentazioni della realtà. Esistono varie modalità di rappresentazione della realtà, iconografiche, concettuali, matematiche, strumentali… Quella dominante appare però quella narrativa. Dalla nascita alla morte viviamo immersi nelle narrazioni. Narrazioni storiche, giuridiche, politiche, culturali, economiche, ideologiche, religiose… Narrazioni molto concrete o del tutto fantastiche. E le nostre visioni del mondo – le costruzioni mentali che ci facciamo sua natura e sulla sostanza della realtà attorno a noi – sono frutto soprattutto del reticolo sempre più complesso e articolato delle narrazioni ( e delle auto-narrazioni ) in cui siamo cresciuti.

    Noi quindi non viviamo nella realtà ma nelle sue narrazioni. In quelle altrui e in quelle nostre. E a furia di narrazioni della realtà noi ci illudiamo di conoscere una gran parte della realtà…

    Ma qui sorge un problema. Se accettiamo l’idea di non avere più una “realtà” oggettiva e conoscibile attorno a noi ma soltanto una serie infinita di sue rappresentazioni, che ne è della “verità” della realtà o delle sue narrazioni? Dobbiamo dubitare di tutto? Ogni cosa può essere inganno, illusione, apparenza?

    ( a suivre…)

    Narrazioni e verità (II)

    May 21st, 2011 § 0 comments § permalink

    Il problema è molto concreto.

    Ogni giorno tante persone mi raccontano qualcosa, di piccolo o grande, affermando che quanto loro mi stanno dicendo è assolutamente “vero” e che dunque io devo aver piena fiducia in loro: votare per loro, fidarmi di loro, credere in loro, mangiare la loro pagnotta, dar loro dei soldi… Ma come faccio a sapere se questi loro racconti sono proprio “veri” o sono invece “falsi” e, di conseguenza, come posso avere fiducia o meno in queste persone?

    Insomma, la questione della verità e dei criteri per cercare di riconoscerla non è una faccenda astratta, una sofisticheria intellettuale. Ne va della mia esistenza giorno per giorno.

    Come argomentato nel post precedente intitolato Narrazioni e verità (I), noi non viviamo nella realtà. Non abbiamo modo di conoscere con certezza ciò che ci circonda perché ci è impossibile crearcene copie mentali esatte, replicabili come un file digitale. Esistono invece, certamente, delle narrazioni di realtà. Io non conosco nulla per quello che è ma solo per come mi viene narrato. Noi dunque viviamo in un universo di narrazioni, non in un mondo di realtà. ( Sono un po’ sbrigativo ma un post non deve essere troppo lungo…).

    Passiamo ora alla questione della verità.

    Alla parola verità vengono date, di norma, due definizioni.

    Nel primo caso la verità sarebbe ciò che “corrisponde alla realtà”.

    Nel secondo sarebbe ciò che è “conforme a delle regole logiche di pensiero”.

    Se restiamo alla prima definizione e teniamo presente quanto detto sopra, non c’è speranza. Visto che nulla può essere confrontato alla realtà ma soltanto alla sua narrazione, la verità non esiste. In effetti, come posso affermare che la deposizione di un testimone, la requisitoria di un accusatore, gli studi di un economista, le ricostruzioni di uno storico, le analisi di un politico, le interpretazioni di un docente ecc. sono vere se, in ogni caso, non possono essere verificate con la realtà alla quale pretendono di riferirsi perché quella realtà non è conoscibile? Posso paragonarle con altre narrazioni che si riferiscono alla stessa pretesa realtà, ovviamente. Ma nessuna di esse può arrogarsi il diritto di essere vera contro le altre.

    Sorge allora un dubbio terribile: noi viviamo dunque in un universo di narrazioni tutte ugualmente false o parzialmente vere ma in una misura variabile e che non potremo mai stabilire con certezza? Siamo imprigionati quindi in un mondo di rappresentazioni ugualmente insignificanti, o banali, o prive di valore assoluto? Dobbiamo rassegnarci al fatto che queste narrazioni risultano inevitabilmente subalterne ai rapporti di forza della politica, dei gruppi di interesse, delle ideologie?

    No, non necessariamente. Qualche speranza forse esiste…

    ( a suivre )

     

    Narrazioni e verità (III e ultimo)

    May 20th, 2011 § 0 comments § permalink

    Il problema della verità

    Dunque, la prima definizione di verità citata nel post precedente (essa sarebbe “ciò che corrisponde alla realtà”) è inapplicabile alle narrazioni in quanto non esistono realtà a cui farle corrispondere.

    Ma esiste una seconda definizione di verità: essa può essere anche ciò che è “conforme a delle regole logiche di pensiero”.

    Questa sì che può costituire una buona bussola. Se riusciamo infatti a stabilire delle “regole logiche di pensiero” anche nel campo delle narrazioni, se riusciamo a identificare dei criteri possibili per validarle, forse potremo giungere non a una certezza sulla loro verità ma a dei criteri ragionevoli per qualificarle e dunque distinguerle qualitativamente. Riarticolando un sistema di misura del valore delle narrazioni non in base a un ipotetico rispetto di un preteso parametro di verità bensì in funzione dell’osservanza di regole logiche ( interne ed esterne ) eviteremmo il rischio, davvero pericoloso ma diffusissimo, di giudicare tutte le narrazioni del mondo come ugualmente false ( se siamo dei dietrologi ) o ugualmente vere ( se siamo dei creduloni…).

    Insomma, se stabiliamo alcune regole logiche e, in funzione della corrispondenza a queste, validiamo una narrazione, una narrazione può essere vera anche senza corrispondere oggettivamente a una realtà.

    Queste regole sembrano almeno tre.

    1°) La legittimità del narratore. In altre parole, colui o coloro che narrano devo essere legittimati a farlo da un’oggettiva coerenza logica ( un esempio paradossale per capirci: un testimone che racconta lo svolgimento di un incidente stradale e, alla domanda del giudice “Lei era lì?”, risponde “No.” è legittimo?) Sulla legittimità del narratore si potrebbero scrivere volumi. Ma di certo se una narrazione non ha un narratore identificabile diventa subito sospetta di illegittimità: i “si dice che, pare che, in rete gira la notizia…” sono buone spie che lì dietro si nasconde un trucco.

    2°) La coerenza di una narrazione. Se infatti essa presenta aree oscure, contraddizioni, buchi logici è inevitabile che la sua verità, per quanto relativa, venga messa in discussione. Non da tutti, forse, perché esiste sempre qualcuno che – per convenienza, stupidità, per bombardamento mediatico o per mancanza di narrazioni alternative – è portato a credere perfino a una narrazione fortemente incoerente. Ma che qualcuno, pochi o tanti, mettano in discussione una narrazione incoerente o che ne pretendano una sua “coerentizzazione” (!) è perfettamento comprensibile (anzi, è auspicabile).

    3°) L’onestà di una narrazione. Per onestà si intende la sua completezza, la non dissimulazione di elementi che la metterebbero in discussione, il rispetto delle deontologie professionali a cui deve sottostare. E’ accettabile, per esempio, che uno storico abbia una visione molto partigiana di un episodio del passato ma non che nasconda o addirittura distrugga documenti che contrastano la sua ricostruzione.

    In conclusione, non si può accusare una narrazione di falsità se essa risulta legittima, coerente e onesta. Piuttosto, le si possono contrapporre altre narrazioni, forse migliori, più utili, più convincenti, più complete, più aderenti al loro oggetto: ma tutto ciò verrà deciso soltanto da chi potrà paragonare tra di loro le varie narrazioni alternative (ecco il valore della dialettica narrativa).

    Ovviamente, l’idea di rinunciare a una verità vera, unica e assoluta, risulta quasi fastidiosa: sarebbe bello avere sempre una cartina di tornasole ( quale che sia, una legge, un principio, una persona ecc. ) per poter decidere senza alcun dubbio ciò che è vero e ciò che è falso. Ma nella vita è meglio non farsi troppe illusioni…

     

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